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mercoledì 22 marzo 2017

QUANDO ARRIVÒ IL FRIGORIFERO

Erano gli anni 60, papà faceva l’operaio e prendeva 37.500 lire al mese, il caffè costava 50 lire e la carne 1.200 lire al chilo. Abitavamo in una casa in affitto a circa 10.000 lire al mese. Evavamo 6 persone in casa, quattro figli, io il più grande. Come potete capire, non rimanevano molti soldi per andare avanti e arrivare al mese successivo.

La casa era semplice, due camere, cucina, e bagno e un ingresso dove dormivo io in un mobile letto che fungeva anche da piccola libreria per i libri di scuola, e una enciclopedia (Vedere e Sapere) di 14 volumi più l’Atlante, acquistata a rate mensili che ancora doveva essere finita di pagare. Papà aveva foderato tutte le copertine dei volumi, con la carta dei pacchi per non farle rovinare, e mamma li spolverava ogni giorno. Era uno dei tesori di casa, e non erano molti questi tesori.

mercoledì 15 marzo 2017

IL PANE COMPRATO


"La notizia delle panetterie mi ha stranamente colpito. Un fatto così importante mi riesce nuovo. Sono le rivoluzioni serie, penso, quelle di cui i giornali non si occupano.

martedì 21 febbraio 2017

LA MODISTA


Con il termine “modista”, secondo la terminologia francese, in principio, si intendeva “l’amante delle mode”. Presto il suo significato cambiò, intendendo colei che cuce o vende abiti da indossare che seguono la moda.

giovedì 9 febbraio 2017

PIOVE di Dana Carmignani


Stamani c'era un aria particolare... un aria che in questo periodo freddo c'è sempre stata se piove. 

Il cielo è grigio, zuppo d'acqua, come i campi allagati e il rio che scorre in fondo. E quando ho aperto l'uscio, ho respirato la stessa aria di quando partivo con la bicicletta per andare a scuola.

venerdì 27 gennaio 2017

Il 27 Gennaio è dedicato al "Giorno della Memoria "ed ognuno di noi dovrebbe ricordare nelle preghiere il popolo Ebraico



Questa storiella la scrissi tempo fa per mio figlio per portare in lui il concetto difficile e complicato "di diversità" che ha scatenato tanto odio e violenza nel "Nazismo"

Lo stagno delle rane

C'era una volta uno stagno piccolo, grazioso pieno di anfratti e senature ricche di ogni varietà di piante e fiori.

domenica 8 gennaio 2017

DIALOGO di un VENDITORE d’ALMANACCHI e di un PASSEGGERE



Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi? 

Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?

Venditore. Si signore.

Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?

sabato 19 novembre 2016

Correva l'anno 1955 ...



... era il tempo dei venditori ambulanti: 

all'inizio ancora con il carretto tirato dal cavallo, poi con l'Ape o il furgoncino ... 

Vendevano un po' di tutto: 

generi alimentari, merceria varia, tessuti per abbigliamento, ma soprattutto biancheria "moderna", lenzuoli e tovaglie colorati, fazzoletti da testa e da naso, cappelli di paglia d'estate, 

... giravano le campagne con le loro merci per invogliare gli ancora (per poco) rustici e diffidenti contadini ... 

Foto di Nino Migliori, della serie Gente dell'Emilia.

lunedì 31 ottobre 2016

LA LUCE




Erano le tre di notte di un giorno di fine ottobre ed in quella casa ‘’si dormiva alla grande’’. Verso le due, nonno Armandin (piccolo Armando) si svegliò e disse alla moglie ‘’zend la lusa che ho da fè un goz d’acqua’’ (accendi la luce che devo fare la pipì). La vecchietta che si chiamava Adele era piccola e magra e dormiva rannicchiata in un angolo del grande letto, sembrava che non ci fosse. Per la verità era rannicchiata anche di giorno perché il lavoro duro dei campi le aveva praticamente piegato il corpo in due e per camminare si appoggiava ad un bastone. Non è come potreste pensare che lei prendeva ordini dal marito. Il problema era molto semplice, lui aveva quasi 90 anni ed era quasi cieco. All’epoca non si operava la cataratta. Inoltre era molto sordo a causa dell’età. La moglie che ci vedeva e sentiva benissimo nonostante i suoi 85 anni si svegliò e con le mani cercò la ‘’pireta’’, interruttore della luce che penzolava sopra la grande spalliera del letto e che tagliava in due il bel quadro della Madonna appeso. A volte faceva cadere il ramoscello d’ulivo che veniva fissato in un angolo del quadro e che veniva cambiato una volta all’anno in occasione della domenica delle palme. Dunque Adele afferrò la pireta e premette il pulsante. Niente, la luce non si accese. La lampadina sotto il piatto smaltato e screpolato appesa nel centro della stanza non diede segno di vita. Per la verità anche quando si accendeva, emanava una luce fioca e debole che comunque permetteva di muoversi nella stanza. Che si fosse fulminata? Non sarebbe stato un guaio perché ogni tanto capitava ed occorrevano alcuni giorni per la sostituzione. Doveva infatti arrivare il sabato quando il figlio grande Danilo sarebbe andato in piazza (al mercato) a Cesena e l’avrebbe comprata da ‘’Brasena’’ che era un negozio che vendeva un po’ di tutto ai contadini che venivano dalla campagna. Adele non si perse d’animo, si sedette sul letto, trovò a tentoni il mozzicone di candela che teneva sempre sopra il comodino e l’accese con una ‘’suifanel’’che erano i lunghi fiammiferi da cucina. La fiamma prese corpo ed illuminò lievemente l’interno della stanza. Tutti gli oggetti presero forma e sembrava che si muovessero, in realtà era la loro ombra che ondeggiava. Dalla specchiera sopra il comò le fotografie dei defunti erano indecifrabili se non quella grande della povera bisnonna che ti guardava con espressione austera. Il rumore dei tarli si interruppe. Nelle due grandi mensole appese al muro facevano bella mostra i formaggi ed il loro odore acre era parte integrante dell’ambiente. Allora il vecchietto aiutato dalla moglie he aveva circumnavigato il lettone, scese dal letto, tolse ‘’e bucalet’’ (vaso da notte) da sotto il letto ed espletò la sua funzione. Ormai da qualche anno doveva alzarsi tre o quattro volte ogni notte. La moglie l’aveva fatto presente al Dottor Celletti che era il medico della mutua e che ogni tanto passava in campagna a controllare i pazienti anziani. Dopo avere fatto alcune domande al vecchietto, il medico aveva concluso che non era grave e che data l’età non era il caso di fare altri accertamenti. Dopo il trambusto i due vecchietti decisero di rimettersi a dormire non prima di essersi accorti di avere un gran freddo. Prima non l’avvertivano imbacuccati com’erano sotto le coperte. Un’enorme camicia di fustagno lei con gli ‘’scalfarotti’’ di lana ai piedi, maglia di lana e mutande lunghe di lana lui. Sopra una bella imbottita di lana. Era molto robusta e morbida perché era stata rifatta due mesi prima. Voi saprete che ogni due o tre anni l’imbottita di lana veniva scucita e la lana ‘’sgramigliata ‘’ perché nel tempo tendeva a comprimersi e ad ammucchiarsi. Quell’anno l’Adele aveva disfatto alcune maglie di lana vecchie ed aveva rimpinguato quella dell’imbottita. Erano andati a letto presto, verso le otto di sera dopo una tazza di latte caldo. A quell’ora spirava ‘’la curena’’ un vento caldo che nulla prometteva. Infatti nel giro di poche ore arrivò una burrasca con un fortissimo vento e la temperatura si era improvvisamente abbassata. Loro non se ne erano accorti perché dormivano. Era stato proprio quel vento che aveva sicuramente abbattuto un palo della luce e quindi la corrente sarebbe mancata in varie case per qualche giorno fino a che gli operai non avessero individuato ed accomodato il guasto. Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di Cesena ed abitato da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di queste ed io ero un bambinetto al quale certe immagini o racconti sono rimasti impressi. San Tommaso era uno dei pochi paesi di collina che a quei tempi aveva la luce elettrica. L’acqua potabile no ma la luce si. Comunque l’energia elettrica veniva chiamata ‘’la lusa’’ (la luce). Si diceva ‘’smorta la lusa’’ (spegni la luce), ‘’zend la lusa’’ (accendi la luce), ‘’l’è avnù menc la lusa’’ (è venuta a meno la luce). I fili che dal contatore arrivavano agli interruttori ed alle lampadine erano intrecciati e ricoperti da un avvolgimento grosso di stoffa. Viaggiavano sopra i muri. Gli interruttori erano ‘’a scrocco’’ tranne quello sopra il letto che era la famosa ‘’pireta’’. Le lampadine con la potenza in ‘’candele’’ erano appese ai lampadari che erano dei piatti di latta oppure smaltati. Il consumo era modesto perché, non ci crederete, nessuno aveva il frigorifero, la lavatrice, il tostapane ed altri elettrodomestici. L’unica utilizzo era l’illuminazione: una lampada in cucina, una in camera da letto, in cantina, sotto il portico, in un muro esterno. A volte i topolini rosicchiavano i fili e si creavano dei cortocircuiti. Durante l’inverno con la neve o con le forti burrasche alcuni pali della luce cadevano a terra e si rimaneva senza anche per giorni. Per questo motivo si teneva una scorta di candele da usare alla bisogna. Per la verità iniziavano a fare la prima comparsa la radio e la televisione rigorosamente in bianco e nero. La televisione si trovava soprattutto nel circolo dei comunisti ed in quello della parrocchia. A Saiano c’era anche il frigorifero per i gelati dove la mamma del prete vendeva il gelato sfuso. Noi bambini da San Tommaso andavamo a Saiano (un chilometro e mezzo) per mangiare un cono di gelato. Per 30 lire la mamma del prete metteva cioccolato e panna e ci dava il cono in mano. Guardava bene e spesso ce lo chiedeva indietro per togliere un po’ di gelato convinta di averne messo troppo. Povera donna, era molto tirchia. Esistevano, ma io non ricordo l’uso di pile. Per inoltrarsi nel buio ci si aiutava con un lume a petrolio o nelle notti di luna piena non c’era bisogno di nulla. Tutte le biciclette avevano la ‘’dinamo’’ e con il movimento le lampadine davanti e di dietro si illuminavano. A quei tempi alcuni contadini iniziarono ad acquistare le Apecar. Bene, neppure queste avevano la batteria quindi la messa in moto era a pedale ed i fanali si illuminavano con la dinamo ed il mezzo in movimento. Per la verità fecero la prima comparsa in campagna le prime radioline a transistor che avevano le pile per funzionare. Le vendeva un certo Ghetti che più che contadino, mestiere dove sicuramente non eccelleva, era un trafficante di sigarette di contrabbando ed appunto di radioline a transistor.

di Fiorenzo Barzanti.-

venerdì 29 luglio 2016

Fine Luglio,è tempo di preparare la salsa di pomodori.


Fine Luglio,è tempo di preparare la salsa di pomodori.

La salsa al modo antico, quando non c'erano barattoli e bottiglie di vetro:

I pomodori si tagliavano a pezzi , si salavano e si mettevano a cuocere in un grande mastello (spesso era quello del bucato), facendoli bollire piano, poi si toglievano dal fuoco e si lasciavano macerare per tutta la notte.

Il giorno dopo si scolava l'acqua, si passavano al setaccio e la polpa si stendeva su delle assi, al sole, ad asciugare per bene.

Oppure si metteva in sacchetti di tela e questi su un'asse inclinata con sopra dei mattoni per farne uscire tutta l'acqua.

La salsa doveva diventare soda e asciutta, compatta, e si conservava poi in piccoli recipienti di terracotta smaltata, o, a volte anche in cartocci fatti con foglie di granturco ben pulite, e appesi al fresco,nella dispensa.

La coltivazione della canapa.-


La coltivazione della canapa è stata molto importante fino alla metà del secolo scorso, ed è bene saperne un po' di più.

La fibra della canapa è una fibra tessile ottenuta dal floema o libro dei fusti delle piante di Cannabis sativa.

Prima dell'avvento del proibizionismo della cannabis essa era diffusa nel mondo come materia prima per la produzione di carta, essendo una delle piante più produttive in massa vegetale di tutta la zona temperata. Le sue fibre inoltre hanno costituito per migliaia di anni importanti grezzi per la produzione di tessili e corde. Oggi sono coltivabili legalmente per usi tessili varietà selezionate di cannabis libere da principi psicoattivi.

I RAGAZZI CORSI di Dana Carmignani


Per questo pomeriggio afoso, che ci costringe in casa, ci può fare compagnia uno dei deliziosi racconti di Dana, ambientati nella campagna toscana dei suoi nonni, dove Dana è cresciuta e dove è tornata ad abitare , in una bella casa accogliente!

I RAGAZZI CORSI 
di Dana Carmignani

“Arrbeereeeeee….”… gridava quella pora donna di Maria dal suo uscio verso… verso non si sa cosa… chiamava issunipote… o meglio uno dei suoi nipoti, dei due che erano arrivati da Bastia, per passare le vacanze. Jeanclaude… era più facile, veniva chiamato semplicemente Claudio, ma il fratello più grande, Albèrt, rappresentava per lei una difficoltà fonetica insuperabile e allora lo chiamava alla francese, ma come si fa noi toscani che si cambia la “L” in “R”, almeno qui, in questa zona, e poi, sempre come si fa noi, ci metteva la finale… Oscar per noi per esempio è assolutamente “ Oscare”… per cui Alberto… diventava alla fine “Arbere”

Jeanclaude e Albèrt quell’anno rappresentarono una novità. Una novità positiva nella nostra brigata di bimbetti, perché erano due in più, ma non di quelli stitici e difficili di carattere… perfetti! Erano abituati a tutto, e tutto sapevano fare. Intraprendenti, intelligenti, vivaci… bello era giocare con loro e infatti ci divertimmo per una estate che sembrò non finire mai, e poi ci raccontavano in un italiano misto fra il francese e il corso, della loro isola, della sua meraviglia, e io non riuscivo a figurarmi quelle bellezze che poi si invece da grande avrei visto. Il mare, dicevano era stupendo, niente a confronto di questo, dicevano... dicevano che loro i pomeriggi prendevano semplicemente un asciugamano e andavano in spiaggia, difatti eran neri come carboni, anche se di capelli eran chiari tutti e due.

Nella nostra corte, così si chiamano da noi, quei posti dove ci sono più case attaccate dove risiedono diverse famiglie… eravamo già una serie di due bimbetti per uscio per un numero che variava da sette o otto, che con l’aggiunta dei due ragazzi corsi, raggiungeva il numero di dieci o dodici figlioli. Un bel branco, che le nonne facevano fatica a destreggiare, sicchè era un urlìo giorno e notte perché non n’aveano verso.

Ad un certo orario alla sera, Maria, la Rosa, la mi nonna, l’Alaide, sortivan fori dall’uscio, si asciugavano le mani sul grembiale e si cominciavano a sgolà, ognuna chiamando i propri nipoti, osservando l'orizzonte,con la mano sulla fronte, come tanti indiani che osservano la prateria.

“ Ma ‘ndò saranno iti queddiavoli!”… si dicevano una con l’altra.

Noi si usciva fuori, come apparizioni, come in quel film dove ci sono i giocatori fantasmi che entrano ed escono dai campi di granturco, solo che noi potevamo essere da tutte le parti, non solo nel granturco… si arrivava laceri, sporchi, sudati accaldati ma contenti… e la maggioranza delle volte si buscavano.

In quei campi di granturco o di grano o in quei prati un po’ lontano, eran le nonne per prime che ci mandavano perché quando s’era intorno casa un ne potean più… “Andate a gioà laggiù.. vai…”ci dicevano indicandoci distese più distanti dove non si avrebbe dato noia a nessuno… e noi s’andava… e non solo laggiù, come dicevano loro, ma esploravamo posti che non si conoscevano, ci infiltravamo nel bosco, e oltre ancora fino alla discesa, dove con le biciclette ci buttavamo a capofitto per vedere chi arrivava prima dall’altra parte della salita… che gioco! Pericoloso anche, ma i giochi eran tutti pericolosi… si rubavano funi e attrezzi dalle stalle, si usavano accette e coltelli per fare gli indiani. Ci si legavano ad una coscia con un cordino, come si vedeva nei film e poi si gattonava fra l’erba col passo da leopardo, altro coltello in bocca, dandoci gli acciuffi come gatti. Oppure, le corde, si legavano agli alberi e ci spenzolavamo sul rio, come Tarzan nella giungla.

Eravamo scapestrati e indipendenti e ci credo che le nonne si preoccupavano. Preoccuparsi era invece per noi l’ultima cosa che ci interessava, non ci fermava niente… sole, caldo… niente…io ho ricordi di gocciole che mi cadevano addosso dalla fronte e mi chiedevo perché, nemmeno capivo che sudavo, non me ne importava … l’unica cosa che m’importava era giocare e giocare, e alla sera mi addormentavo velocemente, esausta, sperando che arrivasse subito mattina, per ricominciare da capo.

Non avevamo uno spazio, tutto lo spazio era nostro. L'aia diventava un buon posto per giocare a nascondino, Il pozzo , le cataste di legna, il monte dei sassi, la capanna, la legnaia, angoli e muretti, diventavano ottime tane per noi che senza curarci dei ciottoli correvamo a “poma” fino al muro della mia casa che soprattutto al pomeriggio su quello spazio dava ombra... poi si saliva nella cascina, il nostro spazio riservato per certe giornate... si isolava dai grandi tirando su la scala, e ci stavamo a giornate giocando a carte o ad altri giochi più tranquilli.

E la notte... oh la notte era ancora meglio. Dopo le giornate afose, ci facevamo mancare la freschezza della sera? No certo. Giocare la notte era ancora più bello, mentre i vecchi chiacchieravano davanti l'uscio. Spesso usavamo il buio per sgattaiolare ad uno ad uno dalla sorveglianza e ci davamo per campi e prode dietro casa. Attraversando prati e vigne, si arrivava fino al paese. Che avventura! Si tornava a casa che nemmeno i vecchi se n'erano accorti, o appena in tempo prima che se ne accorgessero, prima che un silenzio non convenzionale li facesse allarmare.

Ma l'anno dei ragazzi corsi, oltre a tutti nostri soliti punti di riferimento di giochi giornalieri, ne avemmo un altro, e fu proprio quello che diventò protagonista di un accadimento rimasto indelebile nella storia del nostro immaginario.

Avevamo acquisito, con l'arrivo di Alberto e Claudio, anche la casa loro, la casa di Averardo, il nonno, il vecchietto che diceva il maggio, e tutti gli spazi intorno che fino ad allora non avevamo visto mai, compreso la parte alta della casa.

Diversa dalle altre, quella di Averardo presentava un altezza un poco superiore, e sopra si apriva un terrazzo. Ispezionando la casa, con i due ragazzi, un pomeriggio arrivammo fino all'ultimo pianerottolo, lì al muro c'era un altra scala a pioli che saliva ancora su, inutile dire che salimmo tutti... “ Te tu sarai stata la prima...ti 'onosco io !” - mi disse nonna poi... tanto un la potevo condì … perchè era vero figuriamoci se mi facevo scappare un occasione così.
Si salì dunque tutti sul terrazzo e... che meraviglia! Che apertura! Che bello la campagna intorno vista da là sopra! Lo sguardo arrivava fino alle case de' Pepori, e si vedeva fino al bosco della Margine. I cavalli de' Simoncini sembrava di toccarli nei recinti tanto parevano vicini, e si potevano vedere le distese dei prati di Raffaello, dove il giorno si andava a giocare... e che visti da lì si capiva perchè li chiamavano “le prata”...ma non ci bastò.... il tetto ad un metro di distanza era troppo allettante, scavalcammo il muro e salimmo in cima, solo Delia non venne, ma io, io subito coi maschi, e insieme a loro, in fila indiana sulla cresta, arrivai al camino... ci si girava intorno al camino e si saltellava come grilli per quell'improvviso esubero di libertà e sensazione di volare in cielo... e certo in cielo potevamo volarci davvero, bastava un piede messo male, un improvvisa mancanza, macchè chi ci pensava, anzi si saltava da una parte all'altra urlando.... e quello ad un certo punto fece la Rosa, la nonna di Delia e Walter, che era a fa' l'erba nel campo...urlò...ma noi, come in un film muto vedemmo solo l'immagine di lei che quando ci vide, si portò le mani alla testa, poi buttò falciotto e corbello da una parte, si chiappò le vesti con le mani e scappò a gambe levate verso casa... noi tranquilli come se niente fosse, ci eravamo sbracciati a salutarla gridando, ma ad un certo punto ci venne un dubbio che quella corsa improvvisa non fosse per il nostro benessere, quindi si scappò... fu un fuggi fuggi generale, mentre si sparse la notizia e i nostri vecchi uscivan fuori per acciuffarci....

Solo io me le scansai, e Alberto e Claudio, perchè Maria era bona come nonna, ma nell'altre case, fu tutto un belà fino a sera. Per qualche giorno ci controllarono anche troppo e qualcuno di noi per un po' non si vide, ma poi la vita riprese il suo corso regolare, e l'estate continuò calda e frenetica come sempre era la nostra estate.

Alla fine di settembre un taxi riportò via Alberto e Claudio, così come li aveva portati. Partivano col battello, come dicevano loro e dovevano attraversare il mare, come ci avevano raccontato nei loro racconti. Non li ho rivisti mai, anche se qualche volta da grandi son tornati, ero io che non abitavo più qui, e poi, come diceva la su' nonna eran diventati de “ pezzi grossi”... perchè loro, sempre come diceva lei, avevano fatto le scuole “erte”... che tradotto significa alte, avevano studiato infatti. So che sono diventati due ingegneri e stanno ora uno a Parigi e uno a Marsiglia, ma è bello pensare che un vissuto rimane … rimane nei ricordi e anche nelle concretezze.

Se andate in Corsica, quando arrivate a Bastia col traghetto, sulla piazza S. Nicolà potete andare a mangiare da “ Chez Raugi” che detto alla francese è Rogì, che è il posto che ancora esiste della famiglia di Alberto e Claudio, che il nonno Averardo aveva aperto proprio lì.

Quando vado in Corsica ci passo sempre, mi piace vedere una parte delle radici del posto che si sono ricreate altrove e anche se non hanno il mio nome, fanno parte un po' di me. Mi piace ricordare anche in questo modo l'estate trascorsa con Alberto e Claudio i ragazzi corsi... una delle più belle estati della mia vita.

Nella foto davanti al carretto dei gelati, io con Claudio, uno dei ragazzi corsi, in quella famosa estate 🤗

venerdì 10 giugno 2016

ARTE DEI CALZOLAI


L'Arte dei Calzolai, o Calzaiuoli, era una delle Arti Minori delle corporazioni di arti e mestieri di Firenze.
Questa corporazione si costituì nel 1273 e dal 1288 chiesero e ottennero di usare come proprio gonfalone la pezza gagliarda a strisce bianche e nere, già usata come vessillo di alcuni gruppi di fanti nella battaglia di Montaperti del 1260;
Per l'elevato numero di iscritti ( secondo alcune fonti arrivavano fino a 4500) l'Arte dei CalzolaI venne temporaneamente ammessa tra le Arti Maggiori.
Le norme che regolamentavano l'attività degli iscritti erano piuttosto severe e questo per tutelare il loro interesse e il prestigio dell'arte
.La corporazione era retta da 6 consoli ed un cospicuo numero di consiglieri scelti in base ad un regolamento molto rigido che escludeva dalle cariche coloro che erano in arretrato con il pagamento delle tasse, chi deteneva già un'altra carica importante, gli analfabeti, i non fiorentini di nascita, i figli illegittimi e chi non godeva dei diritti elettorali in base alle disposizioni del Comune.

Il periodo di apprendistato di un calzolaio durava tre anni; il rapporto tra maestri e discepoli era regolato da un apposito contratto stipulato dal notaio dell'Arte. Ogni nuovo calzolaio poteva aprire la nuova bottega in proprio, a patto che questa si trovasse a non meno di 1000 braccia (circa 600 metri) da quella del maestro
L'ammissione all'Arte poteva avvenire anche per mezzo di un matrimonio, l'accettazione di un genero entrava nella corporazione di diritto e se questo era già impiegato come garzone o apprendista nella bottega del suocero, veniva esentato dal pagamento della tassa d'iscrizione, così come avveniva per i figli dei maestri, purché nati a Firenze.

Oltre al suo funzionamento interno, gli statuti contenevano le disposizioni relative all'esercizio dell'attività, con particolare attenzione verso le materie prime impiegate durante la produzione:
1)la corporazione stabiliva la qualità del cuoio da usare per i vari tipi di calzature ed era vietato vendere articoli confezionati con cuoio di qualità diversa da quella prevista o "mescolare" diverse qualità di cuoiame;
2 )I calzolai potevano usare solo il cuoio conciato per almeno 8 mesi e perfettamente asciutto;
3 )Era vietato il baratto e lavorare in luoghi nascosti al pubblico;
4 )Gli esercenti dovevano evitare di sporcare le vie cittadine con i liquami e gli scarti delle loro lavorazioni;
5) le botteghe dei calzolai dovevano restare aperte la domenica mattina per consentire a chi era occupato durante la settimana di andare a ordinare o acquistare le calzature, ma solo fino al suono delle campane che annunciavano la messa solenne.

Nel Cinquecento Cosimo I de' Medici ordinò di incorporare l'Arte dei Calzolai con quella dei Galigai e Correggiai, creando l'Università dei Maestri di Cuoiame; nel 1561 anche l'Arte Maggiore dei Vaiai e Pellicciai venne accorpata a questa università, che cambiò il suo nome in Maestri Vaiai e Cuoiai e mantenne questa denominazione fino al 1770, quando il granduca Pietro Lepoldo di Lorena soppresse tutte le antiche corporazioni e istituì la Camera di Commercio.

mercoledì 24 febbraio 2016

PEDROLINO


Pedrolino nasce come personificazione del contadino italiano del passato, e viene rappresentato furbo e ingenuo al tempo stesso. Secondo alcuni dal suo nome derivano Pierrot in Francia e Petruska in Russia. Ancora prima che sulla scena, si trovano i lineamenti del suo carattere nei personaggi di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (padre, figlio e nipote), protagonisti dei celebri racconti del cantastorie emiliano Giulio Cesare Croce. Dalla combinazione dei tre tipi nasce, a teatro, il personaggio di Bertolino che più tardi, specializzatosi nel ruolo di valletto, assumerà i nomi di Piero, Pierro e Pedrolino. Va spesso in coppia con Arlecchino unendo semplicità e astuzia, indolenza e vanteria. È sposato con Franceschina e in uno spettacolo in cui si accorge di essere tradito, rimprovera la donna per la sua leggerezza. È però talmente ingenuo che, al termine della discussione, finisce per ammettere di essere lui stesso in torto supplicando il perdono della moglie. In un’altra commedia il nostro amico, annuncia a Pantalone che una bella dama si è invaghita di lui però lo prega di recarsi all’appuntamento vestito da donna, tanto per salvare le apparenze. Allo stesso appuntamento, vestito da donna per analoga cautela, manda anche Balanzone. Si assiste così ad un comico scambio di frasi amorose fra i due vecchi che, quando si riconoscono, finiscono col darsele di santa ragione.

martedì 20 ottobre 2015

La colazione.


Qualcuno c'è ancora, che resiste nella vecchia abitudine della zuppa di caffelatte, quella che una volta era la frugale colazione di tutti, grandi e piccoli: latte caldo macchiato con il caffè d'orzo e tanto pane raffermo.


La zuppa di caffelatte era il profumo del risveglio, il profumo del mattino!