sabato 31 ottobre 2015

GITA AL CIMITERO


Forse “gita” può suonare strano per questa situazione, eppure non c’è modo migliore per descrive un avvenimento che, alla mia epoca di bambina, accadeva abbastanza spesso.


Andare al cimitero a trovare i morti era normale. Non ci si andava solo nei giorni a loro dedicati, in quei giorni anzi era ancora di più una “festa” per me, ma anche tutte le altre volte, il percorso, il viaggio che si faceva per andare e tornare, prendeva ai miei occhi l’aspetto di un avventura.

Non poteva essere diversamente, un po’ per la mia fantasia, che sempre mi accompagnava, un po’ perché era vero, andando sempre a piedi da tutte le parti, anche per quella faccenda il tutto assomigliava ad un viaggio.

Ci si metteva in cammino, e mai termine è più appropriato, di pomeriggio in questo caso. Si andava in paese come per la messa, e, esattamente allo stesso modo si pigliava da traverso.

La viaccia, al contrario della “vinova”, era una strada, che come dice già il nome, tagliava in mezzo ai campi e arrivava dietro al paese. Era più corta e veloce. Noi, Io e nonna a piedi, si prendeva sempre di lì, in tutte le stagioni. La via era proprio malmessa e solo i carri ci passavano, per cui era solcata da grosse buche che d’inverno si riempivano d’acqua e diventava, come diceva nonna tutto un motaio, ma allora, c’era la possibilità di salire su uno sprondino del ciglio ai lati, che in quel punto preciso erano alti elevati e la strada infossata in mezzo a mo’ di canyon… il tutto circondato da alberi altissimi o coltivazioni , o anche pruni o rovi. Era come andare al paese passando da un bosco incantato.

Dopo la casa di Giacchino non c’era altro che erba e prati e buche d’acqua d’inverno o polvere in estate. Arrivavo sempre un po’ disordinata, colle scarpe infangate, che nonna si preoccupava di pulire col fazzoletto prima che si entrasse in paese, ma a me piaceva.

Mi piaceva tantissimo soprattutto in questo periodo, o in estate, perché il percorso sotto i grandi alberi formavano quasi una galleria di fresca ombra dove il sole filtrava i suoi raggi. Biancaneve nella sua foresta nera non avrebbe potuto far meglio, si poteva immaginare di veder apparire i nani ad ogni momento.

Nella stagione più brutta si percorreva un po’ meno, ma poi nelle altre quella era la nostra strada.

Anche al cimitero nella brutta stagione si andava meno, ma nella bella, si cominciava a fare le nostre visite, se non tutte le domeniche, quasi.

Dunque il pomeriggio della Domenica, ci si incamminava in giornate tiepide come queste, alla volta di quel luogo. Spesso non eravamo sole, ma veniva con noi anche zia Alaide, e i miei cugini … quindi il percorso oltre che bello di per se diventava divertente. Noi figlioli non stavamo fermi un attimo, le due donne chiacchieravano, io curiosa, non volevo perdermi una parola delle due, ma nemmeno i riti dei giochi che nel percorso, se c’erano altri bimbetti potevo fare, per cui ero molto combattuta, correvo avanti con gli amici, poi ritornavo indietro perché magari mi aveva incuriosito una parola o una frase dei discorsi che nonna e zia facevano…. “ Ma possibile che un si pole fa’ du parole che te tu devi sempre sta a sentì quer che si dice eh”…- mi diceva nonna- … avviati va che te corri bene… noi siamo vecchie e si va piano…”

Si arrivava infatti pian piano. Anzi arrivati ad un punto, la viaccia si separava ancora e se si tagliava da lì, il paese nemmeno si toccava, ma attraversando un aia di una casa, si arrivava per un'altra stradina, proprio davanti al cimitero.

Entrati, c’era un percorso solito da seguire, perché ci si partiva da una parte a secondo dei cari da visitare e si rifiniva da quell’altra, con gli ultimi rimasti, quindi il cimitero si faceva tutto… si faceva anche perché nonna e zia, si soffermavano anche su altre tombe chiacchierando e raccontando accaduti che a me sembravano storie bellissime, meglio a volte delle novelle che leggevo nei miei libri.

Dai bisnonni, i genitori di nonna e nonno Arturo, i racconti di quelle persone si sprecavano e io incalzavo perché nonna mi parlasse di loro… “Possibile che voi sempre sapè vita morte e miracoli di tutti… ma io un me lo posso mia riordà…”

Si portavano piccoli mazzi di fiori casalinghi, raccolti fra quelli che appositamente venivano piantati nelle case per quello scopo, e si distribuivano in giro sulle nostre tombe che erano in terra, molto spoglie a volte semplicemente circondate da una catenella e da una croce in pietra con la foto della persona sopra.

Il bacio alla foto quando c’era, era d’obbligo, tanto che mi è rimasto. Lo faccio anche adesso. E' un gesto involontario che mi riporta a quei momenti che per me avevano un valore speciale, perché oltre al giro, allo spostamento da casa che già voleva dire avventura, appunto, c’era anche il sentimento dentro, c’era rendermi conto che vivevo persone, che io non avevo conosciuto, ma in qualche modo facevano parte di me, erano dentro di me nella mia pelle.

Gli antenati ero io!

E se, da quello che sentivo mi piacevano, allora anch’io funzionavo, avevo dentro di me speravo, tutte le qualità che nonna mi raccontava avessero loro.

Nel giro si incontravano altre comari, che come nonna e zia facevano le loro visite.

Anche questo era bello, era un modo anche per incontrarsi per i vivi. Le donne si salutavano … “Bha Giulia ci siete anche voi?..” Chiacchieravano un po’, soffermandosi dal lavoro che stavano facendo… di solito c’erano sulle tombe tante erbacce da togliere… “O che è la bimba di Dino questa…la più piccina….bella, assomiglia ai vostro figliolo… e poi è sempre stato bello il vostro Dino..”

Io gongolavo sentendomi apprezzata per quel complimento che ancora una volta metteva in relazione me ma con gli altri della famiglia, e mi faceva sentire un senso di appartenenza che non mi ha mai abbandonato nemmeno da grande.

Nessuno portava orologi. Per quello c’era il campanile che avvertiva dell’orario, e poi l’ora di avviarsi per il ritorno si vedeva dalla posizione del sole, da certe ombre che prendevano un inclinazione diversa… allora la zia diceva… “ Ci si avvia Giulia se no ci piglia il buio…”… mai rimanere fuori “ di buio”… e allora si rifiniva veloce, i ci si avviava verso l’uscita girandosi per il saluto finale e il segno della croce, e si prendeva la strada del ritorno.

Al ritorno però non si tagliava dalla stradina davanti al cimitero, come all’andata, ma la viaccia si prendeva dal paese e si faceva di proposito perché, e questo era il bello della gita, a noi figlioli ci toccava un premio, un chicco, insomma qualcosa di buono, che le nonne ci compravano per mangiarcelo per la via di ritorno.

Le botteghe erano aperte... le botteghe…una, un alimentari che poi teneva tutto come uno spaccio. Lì alla bottega della Lea, se era d’inverno a noi bimbi, le due donne, ci prendevano un panino all’olio ecco! Macchè dolci o altro, a noi un panino all’olio ci sembrava una manna, solo quello scusso scusso, senza niente.

D’estate era più interessante perché invece che alla bottega, si passava dal bar, e noi tornavamo a casa con ben un ghiacciolo che costava 10 lire… ed era già tanto…tornavamo a casa con quello succhiellandocelo per tutto il percorso e cercando di mantenerlo, infatti alla fine diventava bianco bianco e sapeva di solo ghiaccio, ma la sfida era farcelo durare più a lungo possibile.

Quando si intravedeva la casa di Giacchino eravamo praticamente arrivati, si svoltava sulla stradina di Bandiera, e si arrivava a casa nostra dalla parte opposta a quella che di solito si prende per andare al paese con la via normale.

Il buio cominciava ad incalzare e io non vedevo l’ora di rientrare, gli insegnamenti di nonna avevano sortito ormai il loro effetto e ero già condizionata… “ Di buio bisogna esse accasa bimba! …Sempre!...”

Nella foto del '56 io per mano ad una bambina più grande, con nonna dietro che ci si avvia per la viaccia.

di Dana Carmignani


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