venerdì 6 novembre 2015

MA DOVE ANDAVANO I CONTADINI?


Da maggio a fine agosto tutte le mattine andavano al mercato ortofrutticolo di Cesena che si trovava dietro la stazione. Chi con l’asino e chi con l’APE. Partivano che era ancora buio e vendevano i prodotti della terra: i ‘’marzul’’ (le primizie) in primavera come carciofi, piselli, fave, fagiolini. Poi le pesche, le albicocche, le susine, le pere, le mele, i fichi. Il mercoledì e sabato mattina andavano in piazza a Cesena. Chi in corriera, chi con l’asino o la cavalla, chi in bicicletta. Facevano la spesa nelle bancarelle della Piazza del Popolo, non nei negozi dove non si poteva trattare il prezzo e dove andavano i benestanti. Le donne partivano con le sporte di paglia dove avevano sistemato 12 uova, un galletto, un coniglio, qualche chilo di uva bianca. Si mettevano in cima alla scalinata del mercato coperto (l’odierno Foro Annonario) e stendevano la loro merce per terra e loro stavano accovacciate vicino. Con i soldi raggranellati andavano poi nelle bancarelle a comprare un paio di mutande, i calzini e qualche giocattolo per i bambini. Quando erano ammalati andavano nell’ambulatorio del famoso Dott. Celletti che era in fondo a Viale Carducci vicino a Porta Santi. A volte c’era da fare una lunga fila ma non ci si annoiava perché era l’occasione per scambiare quattro chiacchiere con coloro che si incontravano raramente. A volte i galletti nelle sporte che erano gli omaggi da portare al dottore si azzuffavano e facevano scattare vere e proprie liti fra i proprietari. Per la festa dei morti andavano in visita ai cimiteri dei paesi vicini dove erano sepolti i nonni o i parenti. Io ero un bambino e mio babbo chiamava il suo amico Ricci che abitava a Cesena. Faceva il camionista ma aveva ‘’la machina ad piaza’’ (si prestava a pagamento a fare da autista a chi ne avesse bisogno). Arrivava nella nostra aia a San Tommaso e salivamo tutti e quattro: mio babbo, mia mamma, mia sorella ed io. Dopo un’ora eravamo al cimitero di San Pietro in Vincoli. Dopo la visita ci fermavamo dai miei zii che abitavano vicino alla Cà del liscio a Ravenna (che ancora non esisteva). In tutto eravamo circa 30 parenti e mia zia cucinava cappelletti in brodo e non so quanti conigli arrosto con patate. Insomma era una grande festa. Alla domenica pomeriggio andavano in visita ai parenti, in bicicletta, con l’asino o con l’APE. Quella domenica andammo da mio nonno che abitava a Casale. Partimmo da San Tommaso. Io sul cannone della bicicletta di mio babbo, mia mamma con la sua bicicletta da donna. Mia sorella no perché era una ragazzina e preferiva ritrovarsi con le amiche in parrocchia. Salivamo (a piedi) fino a Saiano di sopra quindi in discesa attraversando Carpineta fino a Casale. Da mio nonno c’erano già altri molti parenti e si facevano delle chiacchiere a voce alta. Alla sera tutti a fare una grande abbuffata vicino al camino. Tornavamo che era dopo mezzanotte. In primavera andavano sempre in gita (una volta all’anno). Una volta a Loreto, un’altra a San Marino, una volta addirittura a Venezia. La corriera passava alla mattina molto presto e tutti i contadini erano puliti e ‘’sforbiti’’ per l’occasione. Ognuno portava una sporta per il pranzo al sacco: piadina con salame, ciambella e sangiovese. L’acqua no perché come dicevano i contadini ‘’la fa ruznì i paramint’’ (fa arrugginire gli organi interni del corpo). Dopo tre ore ci si fermava per una sosta, i bagni erano scarsi ed allora ognuno si arrangiava nei cespugli vicino al parcheggio. Per la fiera di San Giovanni (in giugno), patrono di Cesena, tutti andavano almeno una volta in giro per bancarelle ed acquistavano il famoso fischietto di zucchero. Per la festa della Madonna del Monte (15 agosto) molti andavano in pellegrinaggio alla famosa Abazia. Si partiva da San Tommaso a piedi che era ancora buio e dopo tre ore di cammino si arrivava. Nel piazzale della chiesa si mangiavano degli ottimi bomboloni e noi bambini acquistavamo la pistola ad acqua. Chi veniva colpito dal ‘’fuoco di Sant’Antonio’’ (un’infiammazione molto dolorosa) andava da ‘’Ciuma’’ a Rio Donegaglia. Lui scopriva la parte dolorante, faceva strani segni, imponeva le mani. Non si sa perché e come ma molti guarivano. Il giorno di natale moltissimi andavano alla messa delle 11 ed anche molti comunisti. A novembre molti andava a Sogliano sul Rubicone dove si estraeva dalle fosse interrate il famoso ‘’formaggio di fossa’’. Un inebriante profumo acre di formaggio si spandeva nell’aria. Ognuno tornava a casa con il suo sacco di formaggio che aveva portato ad infossare in primavera. Per i matrimoni o le cresime molti andavano ‘’ai parint’’ (erano invitati alla festa). Si vestivano con l’abito della domenica, portavano il regalo e si fermavano per la grande ‘’mangiata’’. Tornavano con una pila di ‘’brazadell’’ (ciambelline rotonde con il buco) come omaggio. ‘’I casint’’ (erano quelli che abitavano nel borgo, non avevano la terra e lavoravano a giornata) andavano a spigolare dopo che i contadini avevano mietuto il grano. In novembre molti contadini andavano dal mulino dell’olio Suzzi a Carpineta. Portavano le olive ed aspettavano il loro turno poi ritornavano con il prezioso olio. Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di Cesena abitato da famiglie contadine, la mie era una di queste. Quel sabato mattina Francesco, strano ma non aveva un soprannome, il figlio del contadino soprannominato Gavarden si avviò con una sporta di fichi verso Cesena. In realtà andava a Case Finali dalla famosa ‘’donna di piacere’’ soprannominata Lollobrigida. Era un uomo molto tirchio e non c’era modo di fargli spendere due lire. Avete presente quando (fino a qualche anno fa) il vostro telefonino faceva uno squillo solo e voi non facevate in tempo a rispondere?. Allora richiamavate il numero chiamante che vi rispondeva dicendovi che prima era caduta la linea. In realtà voleva che il costo della chiamata fosse a vostro carico. Ecco eravamo a questo livello di tirchiaggine. Dunque Francesco arrivò sotto la casa della donna, sul davanzale non c’era il vaso di fiori segno che non era impegnata e suonò il campanello. Dopo i convenevoli l’uomo pretendeva una prestazione sessuale pagandola con una sporta di fichi. La donna non ne voleva sapere perché gli affari sono affari e gli disse che mica poteva andare a comprare poi la mortadella dando in cambio i fichi e quindi voleva 500 delle vecchie lire. Francesco allora si alzò e fece per andarsene. La Lollobrigida improvvisamente fece cadere la lunga vestaglia che la ricopriva ed il suo corpo tutto nudo comparve nella sua conturbante bellezza. Francesco per un attimo tentennò ma se ne andò. La donna gli urlò dalla finestra: ‘’tant feza piò avdei’’(non ti fare più vedere).

di Fiorenzo Barzanti


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