Questa leggenda boliviana narra il desiderio dell’armadillo di poter cantare e la nascita del charango, un tipico strumento sudamericano...
C’era una volta un armadillo che amava la musica più di ogni altra cosa al mondo.
Dopo ogni pioggia, l’armadillo trascinava la sua corazza verso il grande stagno pieno di rane e ascoltava le rane verdi cantare. ”Oh,” pensava l’armadillo, “Oh, come vorrei poter cantare”. L’armadillo si metteva sul bordo dell’acqua e osservava le rane saltare e nuotare in un frenetico balletto verde. Gli piaceva ascoltare la musica anche se non capiva le loro parole, ed era decisamente meglio così – visto che le rane ridevano di quel buffo animale che desiderava così tanto cantare come una rana. ”Non essere ridicolo”, cantavano le rane. “Gli armadilli non possono cantare”.
Un giorno una famiglia di grilli si trasferì in una nuova casa vicino all’armadillo, e lui fu stupito di sentirli cinguettare e cantare allegramente, come le rane. Si mise vicino a casa loro e li ascoltava tutto il giorno e tutta la notte per i loro suoni musicali. ”Oh,” sospirava l’armadillo, “Oh, come vorrei poter cantare”. ”Non essere ridicolo”, cantavano i grilli nelle loro tonalità melodiose. “Gli armadilli non possono cantare”. Ma l’armadillo non riusciva a capire la loro lingua, e così sospirava di desiderio e ascoltava le loro belle voci ridere di lui.
Poi un giorno un uomo venne giù per la strada con una gabbia di canarini. Cinguettavano e cantavano canzoni che erano anche più belle dei grilli e delle rane. L’armadillo ne fu rapito. Seguì l’uomo con la gabbia, tanto velocemente quanto le sue gambette gli consentivano, ascoltando il canto dei canarini. ”Oh,” ansimava l’armadillo, “Oh, come vorrei poter cantare”. All’interno della gabbia, i canarini cinguettavano e ridacchiavano. ”Non essere ridicolo”, cantavano svolazzando qua e là, “Gli armadilli non possono cantare”.
Il povero armadillo, stanco, non riusciva a tenere il passo con l’uomo, e infine cadde esausto davanti alla porta del grande mago che viveva nella zona. Rendendosi conto di dove si trovava, l’armadillo decise di chiedere un favore al mago. Timidamente, l’armadillo si avvicinò al mago, che era seduto davanti alla sua casa e gli disse: “Grande mago, il mio più profondo desiderio è imparare a cantare come le rane, i grilli e i canarini.” Le labbra del mago si contrassero in una smorfia divertita, perchè quando mai si era sentito di un armadillo che cantava. Ma subito si accorse che il piccolo animale era serio. Allora si piegò a terra e lo guardò dritto negli occhi.
“Posso farti cantare, piccolo armadillo”, disse. “Ma non vorrai pagarne il prezzo, perché significherebbe la tua morte.”
“Vuoi dire che se muoio sarò in grado di cantare?” chiese l’armadillo con stupore.
“Sì, è così”, disse il mago.
“Allora io voglio morire in questo momento!” disse l’armadillo. “Farei qualsiasi cosa per essere in grado di cantare!”
Il mago e l’armadillo discussero la questione per molte ore, perchè il mago non voleva uccidere l’armadillo. Ma la creatura insisteva, e così il mago lo uccise, e dalla sua corazza ricavò un meraviglioso strumento musicale, il charango, e lo diede al migliore musicista in città.
A volte il musicista suonava il suo strumento vicino allo stagno, e le rane lo fissavano con gli occhi spalancati e dicevano: “Ahi ahi, l’armadillo ha imparato a cantare”.
A volte il musicista suonava il suo strumento vicino alla casa dei grilli, che uscivano fuori con gli occhi spalancati e dicevano: “Ahi ahi, l’armadillo ha imparato a cantare”.
E spesso il musicista andava a trovare il suo amico che possedeva la gabbia piena di canarini – ed era anche lui un musicista – e i due uomini suonavano i loro strumenti insieme, mentre gli uccellini guardavano svolazzando e cinguettando con stupore: “Ahi ahi, l’armadillo ha imparato a cantare”.
E così fu. L’armadillo aveva imparato a cantare alla fine, e la sua voce era la più bella del paese. Ma, come i migliori musicisti al mondo, l’armadillo aveva sacrificato la sua vita per la sua arte.
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