lunedì 18 settembre 2017

IL CARBONAIO


Parola che indica il mestiere di chi trasforma la legna in carbone. Lavoro molto diffuso fino alla metà del secolo scorso nelle nostre zone boscose di collina e di montagna. Mestiere molto duro che costringeva a stare lunghi periodi per luoghi impervi, lontani da casa, in grotte o capanne più o meno arrangiate, spesso con moglie e figli appresso, esposti ai capricci delle stagioni. Per allestire una carbonaia, si cominciava predisponendo sul terreno delle piattaforme aperte di circa 4-5 metri di diametro. Al centro si piantavano 3-4 robusti pali lunghi all’incirca tre metri, fissati a breve distanza tra loro e avvolti esternamente con rami sottili in modo da funzionare da camino. Attorno a questo primo elemento si cominciava a collocare la legna precedentemente tagliata a pezzi di circa un metro di lunghezza, cominciando dai più grossi ai più sottili, poggiando i pezzi in verticale, uno accostato all’altro e badando di non lasciare spazi vuoti. Ad impianto ultimato, si provvedeva alla copertura della singolare “catasta” di legna con rami verdi, foglie secche, terra battuta e zolle erbose. Infine, con il sostegno di una scala a pioli, si accendeva la carbonaia, gettandovi all’interno, attraverso il “camino”, rami ed erba secca, paglia e carboni ardenti. Il carbonaio più esperto sorvegliava il tutto affinché la combustione all’interno della carbonaia avvenisse senza fiamma, lentamente, in condizioni di scarsa ossigenazione. Se necessario apriva alla base della “costruzione” dei piccoli cunicoli per il tiraggio dell’aria e fori verso la sommità per la fuoriuscita del fumo. Quando, dopo 6-7 giorni, il fumo diventava turchino e trasparente, il carbone era pronto. Si smantellava allora la carbonaia, si lasciava freddare il carbone, si metteva nei sacchi e si portava a destinazione solitamente a dorso di mulo.

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