Questa favola è nata in un campo di concentramento del Nord-Ovest germanico, nel dicembre del 1944, e le Muse che l'ispirarono si chiamavano Freddo, Fame e Nostalgia.
Questa favola io la scrissi rannicchiato nella cuccetta inferiore di un «castello» biposto, e sopra la mia testa c'era la fabbrica della melodia. lo mandavo su da Coppola versi di canzoni nudi e infreddoliti, e Coppola me li rimandava giù rivestiti di musica soffice e calda come lana d'Angora.
Le Muse ispiratrici salivano al piano superiore e dal soffitto piovevano semibiscrome.
Tra i sei o settemila ufficiali prigionieri nel Lager c'erano professionisti e dilettanti di musica e di canto. Qualcuno era riuscito a salvare il suo strumento, qualche strumento lo prestarono i prigionieri francesi del campo vicino. Coppola concertò le musiche e isttuì orchestra, coro e cantanti. I violinisti non riuscivano a muovere le dita per il gran freddo; per l'umidità i violini si scollavano, perdevano il manico.
Le voci faticavano a uscire da quella fame vestita di stracci e di freddo. Ma la sera della Vigilia, nella squallida baracca del «Teatro», zeppa di gente malinconica, io lessi la favola e l'orchestra, il coro e i cantanti la commentarono egregiamente, e il «rumorista» diede vita ai passaggi più movimentati.
La nostalgia l'hanno inventata i prigionieri perché in prigionia tutto quello che appartiene al mondo precluso diventa favola e gente ascolta sbalordita qualcuno raccontare che le tendine della sua stanza erano rosa. In prigionia anche i colori sono una favola, perché nel Lager tutto è bigio, e il cielo, se una volta è azzurro, o se un rametto si copre di verde, son cose di un altro mondo. Anche la realtà presente diventa nostalgia.
Noi pensavamo allora alle cose più umili della vita consueta come a meravigliosi beni perduti, e rimpiangevamo il sole, l'acqua, i fiori come se oramai non esistessero più: e per questo uomini maturi trovarono naturale che io, per Natale, raccontassi loro una favola, e giudicarono originalissimo il fatto che, nella favola un uomo s'incontrasse con sua madre e col suo bambino.
Racconto di Giovannino Guareschi
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