Strettoie
In tanti vanno, lungo il marciapiede,
continuamente. S’incrociano e si scansano,
rallentano e poi avanti. Filano, scorrono
svelti e tranquilli, finché
di qua c’è un mucchio di assi, di là
un rimorchio di camion.
*
Uno soltanto: ma chi?
Ogni volta ti incanti,
prima di entrare.
Rimani lì a pensarci
una vita.
Dall’altra parte la gente arriva spedita,
s’infila nella strettoia. Tu le fai ala
come una folla al suo sovrano.
*
Con un mezzo sorriso
ti fai da parte, lasci che sfili
un cane
che tira una signora,
poi un tizio che viene
dietro di lei, deciso; ti sporgi appena
e subito rientri,
fai largo a un altro con una moto.
Guardali come sono calmi, sereni,
mentre ti passano di fronte
senza parlare, con gli occhi fissi nel vuoto,
ognuno un sole che sorge.
Beati, indifferenti:
sembrano dèi.
Tu invece, lì sull’attenti,
mastichi amaro.
*
Cos’è, rancore
quello che ti prende
ogni volta? Che torto ti hanno fatto?
Passare tu, volevi,
al posto loro?
No, non è questo.
*
Né tu, né gli altri. In quel passaggio stretto
vorresti che nessuno avesse cuore
di penetrare;
che durasse per sempre
e per tutti quell’attimo di scrupolo,
di esitazione;
che soltanto a vederlo, questo sentiero
sacrificato, in mezzo a due transenne,
le persone restassero impietrite
da un infinito rispetto.
*
Allora, fermi a un imbocco
e all’altro della strettoia,
mille volte ripetere l’invito
– prego, si accomodi! –
e mille volte regalarci il mondo
con gli occhi e con le mani, e mille volte
rifiutare, e invitarci, finché l’asfalto
che ci separa, a furia di cerimonie
si spacchi, e l’erba lì in mezzo ricresca alta
come se mai
ci fosse passato un uomo.
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