È una tranquilla notte di luna piena quella in cui un bimbo è intento ad osservare la luna: inizialmente la scena è vivace, il piccolo protagonista sembra avere tutta la vita davanti. Verso dopo verso, il lettore si rende tuttavia conto che l’arrivo della luna non fa altro che oscurare quella presenza infantile e, oltre a rubargli quasi la scena, è portatrice di una brutta notizia: sembra essere a conoscenza della tragedia imminente e la annuncia.
Sarà poi lei stessa a condurlo per mano nel cielo, facendogli perdere la propria identità: nessuno risconosce più quel bambino che avanza verso l’indefinito. Altri pochi versi descrivono intensamente il dolore dei gitani che, di ritorno, trovano il cadavere sull’incudine. In questo poema, in cui l’autore esprime tutta la sua frustrazione, non possono mancare le tematiche ricorrenti, come la paura della morte e i simboli da cui Lorca era ossessionato.
La luna venne alla fucina
col suo sellino di nardi.
Il bambino la guarda, guarda.
Il bambino la sta guardando.
Nell’aria commossa
la luna muove le sue braccia
e mostra, lubrica e pura,
i suoi seni di stagno duro.
Fuggi luna, luna, luna.
Se venissero i gitani
farebbero col tuo cuore
collane e bianchi anelli.
Bambino, lasciami ballare.
Quando verranno i gitani,
ti troveranno nell’incudine
con gli occhietti chiusi.
Fuggi, luna, luna, luna
che già sento i loro cavalli.
Bambino lasciami, non calpestare
il mio biancore inamidato.
Il cavaliere s’avvicina
suonando il tamburo del piano.
nella fucina il bambino
ha gli occhi chiusi.
Per l’uliveto venivano,
bronzo e sogno, i gitani.
le teste alzate
e gli occhi socchiusi.
Come canta il gufo,
ah, come canta sull’albero!
Nel cielo va luna
con un bimbo per mano.
Nella fucina piangono,
gridano, i gitani.
Il vento la veglia, veglia.
Il vento la sta vegliando.
di Federico García Lorca
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