Incuriosito, un bove si era avvicinato a un trattore fermo sul solco in mezzo a un campo. “Caspita! L’aratro lo riconosco, fino a ieri lo tiravo io. Ma costui? Questo bove qui mi rimane nuovo - pensava masticando lentamente. - È anche molto magro. Il mio padrone deve trattarlo abbastanza male, mentre io vado ingrassando sempre di più!”. Si allontanò di qualche passo e dopo una boccata d’erba ritornò verso l’attrezzo, attirato dai fanali che barbagliavano al sole. “Ha anche gli occhi, ma le corna? E senza coda com’è, chi gli scaccia le mosche?”. Dopo un po’ venne il padrone, il quale mise in moto l’arnese, che incominciò a ruggire trascinandosi dietro l’aratro come un fuscello. Il bove guardò impassibile il rivale che lo oltrepassava, poi disse: “Anche questa mi è nuova: con me il padrone ci parlava e io ubbidivo. Mi rispettava però. Soprattutto non mi trattava come un mulo mettendomisi a sedere sulla schiena”. “Senti amico - gli gridò un corvo da un olmo lì presso - fra tanti problemi che ti fai, non sarebbe meglio che ti chiedessi perché stai diventando sempre più grasso? Poiché io non ho mai visto finire bene uno che ingrassa a spese altrui”.
Non sempre è un buon presagio essere dispensati da una fatica.
Pietro Luzi
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