E' una moglie davvero paziente quella del montanaro Gudbrando,
protagonista di questa divertente favola scandinava...
C’era una volta un uomo di nome Gudbrando che aveva una fattoria lontano lontano, là, sulla montagna: perciò tutti lo chiamavano Gudbrando il montanaro.
Dovete ora sapere che egli aveva una mogliettina e che essi si amavano e si comprendevano l’un l’altro, tanto che la moglie trovava che tutto ciò che faceva il marito era fatto nella maniera migliore ed era sempre contenta qualunque cosa egli facesse. La fattoria era tutta loro e così pure la terra; avevano poi qualche soldo nascosto sotto il materasso e due mucche legate nella stalla.
Un giorno la moglie disse a Gudbrando:
- Sai, caro, penso che dovremo portare una delle nostre mucche in città e venderla; avremo così un po’ di denaro da spendere, come la gente per bene come noi deve sempre avere. Non possiamo certo mettere mano al piccolo gruzzolo che teniamo sotto il materasso. E non saprei che cosa fare, col ricavo di più di una mucca. Inoltre guadagneremo anche in un altro modo: infatti dopo dovrò badare ad una sola mucca, mentre adesso mi tocca dar da mangiare, bere ed accudire a due. –
Detto fatto, pensando che la moglie avesse ragione, Gudbrando si mise subito in cammino verso la città con una delle mucche per venderla; ma giuntovi non trovò nessuno che volesse comperarla.
- Non importa, non importa – si disse Gudbrando – alla peggio non mi resta che ritornare a casa con la mia mucca. La stalla c’è, la mangiatoia anche, e la strada per tornare non è più lunga di quella fatta per venire. – E così si rimise lentamente in cammino verso casa con la sua mucca.
Aveva percorso un pezzettino di strada quando incontrò un uomo che conduceva al mercato un cavallo da vendere.
- Che c’è di meglio di un bel cavallo? – pensò Gudbrando e lo barattò immediatamente con la mucca.
Poco dopo incontrò un altro uomo che camminava spingendosi avanti un bel maiale grasso, e pensò che era senz’altro meglio avere un bel maiale che un cavallo; e lo barattò. Poi incontrò un uomo con una capra e decise che era meglio una capra che un maiale, e barattò anche il maiale.
Fatto un altro pezzo di strada si imbatté in un uomo che aveva una pecora ed ecco che barattò ancora, pensando che era meglio avere una pecora che una capra. Più avanti incontrò un uomo con un’oca e cambiò l’oca con la pecora; e dopo aver camminato ancora un bel po’, incontrò un uomo con un gallo e lo barattò, perché – Certo è meglio – pensò – avere un gallo che un’oca. –
Quindi andò avanti fino che, mentre si avvicinava la sera, sentì un grande appetito e vendette il gallo per un fiorino e con questo si comperò da mangiare pensando:
- E’ sempre meglio salvare la propria pelle, che possedere un gallo! –
Si diresse quindi verso casa e, passando davanti alla casa di un conoscente, entrò a fargli visita.
- Ebbene, – gli chiese il padrone di casa – come è andata in città? –
- Uhm! così, così – disse Gudbrando. – Non posso elogiare la mia fortuna né d’altra parte lamentarmi. – E raccontò tutta la sua giornata dal principio alla fine.
- Ah! – esclamò l’amico. – Ti aspetta una bella strapazzata, appena torni a casa da tua moglie. Il cielo ti assista. Per nulla al mondo vorrei essere nei tuoi panni. –
- Mah, – disse Gudbrando, il montanaro – io penso che avrebbe anche potuto andarmi molto peggio; ma se ho fatto bene o no, ho una moglie così buona che non ha mai niente da ridire su quello che faccio. –
- Ah, ah! – commentò il conoscente. – Tu dici così, ma io non ci credo. –
- Così ne dubiti? – chiese Gudbrando.
- Sì – disse l’amico – e ho qui con me cento zecchini. Sono tuoi se mi darai la prova di quanto hai detto. -
Così Gudbrando restò lì fino a sera e quando cominciò a far buio, insieme si recarono a casa. L’amico si appostò dietro l’uscio per ascoltare, mentre Gudbrando entrò a salutare la moglie.
- Buona sera, cara – disse Gudbrando, il montanaro.
- Buona sera – rispose la moglie. – Oh, sei tu? Sono felice di rivederti. –
Poi chiese come erano andate le cose in città.
- Così, così – rispose Gudbrando. Non c’è molto da vantarsi; quando giunsi in città non trovai nessuno che volesse comperare la mucca, perciò, devo ammetterlo, l’ho barattata con un cavallo. –
- Con un cavallo? – disse la moglie. – Sei stato bravo, grazie di cuore; così potremo andare a Messa la domenica in calessino come fa tanta altra gente; e se ci piace allevare un cavallo, mi pare, abbiamo tutto il diritto di farlo. – Poi aggiunse: – Corri fuori, caro, metti il cavallo nella scuderia. –
- Oh! – esclamò Gudbrando. – Io non ho il cavallo, perché, fatto un altro pezzetto di strada, l’ho barattato con un maiale. –
- Ci credi? – disse la moglie. – Hai fatto ciò che avrei fatto io stessa; mille grazie! Adesso sì che potrò avere in casa un po’ di prosciutto da offrire a chi viene a trovarci. A che cosa ci sarebbe servito, il cavallo? La gente avrebbe solo pensato che ci eravamo inorgogliti tanto da non essere più capaci di andare in chiesa con le nostre gambe; esci, marito mio, e metti il maiale nel porcile. –
- Ma io non ho neanche il maiale! – rispose Gudbrando. – Poco dopo l’ho barattato con una capra. –
- Mio caro! – gridò la moglie. – Come sei stato bravo! Ora che ci ripenso, che cosa ne avrei fatto del maiale? La gente avrebbe finito col dire che eravamo solo capaci di mangiare tutto ciò che avevamo. No, adesso, con una capra avrò il latte, il formaggio e anche la capra. Esci, e mettila nella stalla. –
- No, non ho neppure la capra – disse Gudbrando. – Perché, poco dopo, l’ho barattata con una bella pecora. –
- Non mi dire! – gridò la moglie. – Hai fatto tutto quanto io desideravo, come se ti fossi stata vicina! Che cosa ce ne saremmo fatti, della capra? Avrei finito col perdere metà della giornata per andare a cercarla sulla collina. No, se ho una pecora, avrò lana e vestiti e cibo fresco in casa. Esci a sistemarla. –
- Ma non ho neppure la pecora! – esclamò Gudbrando. – Perché poco dopo l’ho barattata con un’oca. –
- Grazie! Grazie di tutto cuore – gridò la moglie. – Che me ne farei, di una pecora? Non ho più l’arcolaio né il pettine e non mi piace neanche tagliare, mettere in prova, e cucirmi i vestiti. Possiamo comprare i vestiti come abbiamo fatto in passato, e finalmente avrò un bell’arrosto d’oca come ho sempre sognato; ed inoltre le piume con cui posso imbottire il mio cuscinetto. Esci e mettila nel pollaio. –
- Bene, – disse Gudbrando – non ho neppure l’oca, perché poco dopo l’ho barattata con un gallo. –
- Mio caro! – gridò la moglie. – Come pensi a tutto! Avrei voluto farlo io stessa! Un gallo! Hai proprio indovinato! Sostituisce benissimo l’orologio; ogni giorno canterà alle quattro e ci farà buttare per tempo dal letto le nostre pigre gambe. Che cosa ce ne saremo fatti di un’oca? Non so cucinarla, e in quanto al cuscino lo posso imbottire con crine vegetale! Esci e mettilo nel pollaio! –
- Ma, per dir la verità, non ho neppure il gallo – dichiarò Gudbrando. – Perché poco dopo mi è venuta una fame da lupi e, per non morire, ho dovuto vendere il gallo per un fiorino. –
- Sia ringraziato Iddio! – gridò la moglie. – Qualunque cosa tu faccia, la fai per rendermi contenta. A che cosa ci sarebbe servito un gallo? Non dipendiamo da nessuno e al mattino possiamo stare a letto quanto ci pare e ci piace. Il cielo sia lodato che ti ho ancora qui sano e salvo; tu fai tutto così bene che non voglio né gallo, né oca, né maiale, né mucca. –
Allora Gudbrando aprì la porta e disse:
- Ebbene, che cosa ne dite? Ho vinto i cento zecchini? – E il suo vicino dovette ammettere di aver perduto e pagare.
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