“La sai l’ultima? La giustizia è uguale per tutti”. La storia è lunga. Già il greco Plutarco, in riferimento alla giustizia lamentava che “le tele dei ragni pigliano le mosche, ma lasciano scappare i calabroni”; e il poeta latino Giovenale stigmatizzava i censori che “perdonavano ai corvi, ma facevano strazio di colombe”. Dopo tanti secoli, le cose non sono cambiate gran che, e la gente lo dice a modo suo: “Sta in galera chi ruba un legno, sta sul trono chi ruba un regno”; “molte volte il denaro e l’amicizia, rompono le gambe alla giustizia” ecc… ecc… Certo, “guai a chi s’incapriccia a voler giusta la giustizia” (A. Brofferio); e questo è sicuramente vero, nel senso che una giustizia non accompagnata dalla pietà è disumana: “La giustizia che gioca co’ la spada, diventa giusta quanno cambia strada” (Trilussa). Già il grande Cicerone diceva: “Summum jus, summa iniuria”, cioè, il troppo rigore è ingiusto; ma altrettanto ingiusto è il cedimento: “Leggi senza pene, campane senza battaglio”. È anche vero che la giustizia ha tempi lunghi, specialmente quella di Dio, che ha a disposizione secoli e millenni. Ma anche quella umana non scherza: solo due anni fa si è concluso il processo più lungo della storia (almeno quella italiana). Era iniziato ad Agrigento nel 1816, e si è chiuso nella stessa città il primo settembre 2008. La vertenza riguardava la validità della vendita di un terreno da parte del comune agrigentino di San Giovanni Gemini a dei privati. Da notare che il processo è terminato solo perché la parte perdente non ha voluto impugnare l’ennesima sentenza emessa, pensate un po’, dopo 192 anni! Questo accade alla giustizia umana. La giustizia di Dio è un po’ diversa, ma altrettanto “misteriosa”: ne è prova il fatto che il primo a “rubare” il paradiso è stato il buon ladrone.
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