Nove orologi da uomo erano adagiati in tutto il loro splendore sul panno di velluto rosso. C’era quello color oro, quello color argento e quello color acciaio. Uno era impermeabile. Uno era rotondo, uno era quadrato. Quello che aveva i numeri romani bianchi su sfondo nero e quello che li aveva neri su sfondo bianco. Uno aveva il cinturino di finto coccodrillo di un marrone lucente. Poi il cinturino di finta pelle nera ed ancora quello con le maglie di finto acciaio. L’orologiaio decantava i pregi di ognuno e giurava sulla loro durata eterna. La coppia dei clienti guardava ed ascoltava con grande attenzione, o meglio mentre l’uomo era estasiato e credulone la donna era diffidente, faceva mille domande e voleva sapere i prezzi. In realtà l’orologiaio che era un commerciante nato stentava a dichiarare il prezzo, lo avrebbe fatto solo quando il cliente si fosse innamorato in modo definitivo dell’oggetto scelto. Orbene, quella coppia di clienti erano il contadino Poldo e la moglie Maria. Qualcuno ricorderà questa simpatica coppia. Il loro giovane figlio si sarebbe sposato a breve perché la ragazza che frequentava era rimasta incinta. Per l’occasione la Maria aveva obbligato il marito ad acquistare un paio di scarpe nuove presso la bancarella in piazza del Popolo a Cesena ‘’da Pirro’’. L’uomo aveva accettato controvoglia ed era terrorizzato dal giorno del matrimonio del figlio perché avrebbe dovuto indossarle ma piccole e strette com’erano gli avrebbero fatto soffrire le pene dell’inferno. Ma non era finita, la moglie si era messa in testa di acquistare per il marito anche un orologio per fare bella figura. Poldo non ne aveva mai posseduto uno. Ma in fondo a cosa serviva l’orologio in campagna? Quasi nessuno lo possedeva. Il canto di un gallo e quello degli altri che rispondevano in lontananza dalle case dei contadini annunciava il sorgere del sole. Come se non bastasse, era l’urlo stridulo dei maiali nei porcili che reclamavano la broda a dire che il mattino era iniziato. Il primo suono della campana piccola diceva che erano le sette e se era giorno di mercato, mercoledì o sabato, dopo poco sarebbe passata la SITA per andare in città. I rintocchi si sentivano benissimo perché le chiese con i campanili sorgevano sempre su un cucuzzolo al centro del paese. Ogni mezz’ora suonava ancora la campana piccola ed ogni ora il numero dei rintocchi di quella grande permettevano di conoscere esattamente l’orario. Quando la campana grande suonava a distesa, era mezzogiorno ed i contadini prendevano la via di casa rientrando dal lavoro dei campi. Le mogli erano rientrate un’ora prima per fare la piadina e preparare il pranzo. Alla sera quando la campana piccola suonava ‘’laimaria’’ (l’ave Maria) erano le sette ed il campanile sarebbe rimasto muto fino al mattino successivo. In fondo non serviva misurare il tempo dalla sera alla mattina. Non c’era la televisione e non c’era il rischio di perdere le prime notizie del telegiornale. In inverno, se non era prevista la veglia, tutti andavano a letto presto, si sarebbe risparmiata la legna nel camino e le robuste imbottite di lana avrebbero scaldato egregiamente i corpi. Le coppie avevano tutto il tempo per esercitare il gioco più antico e più bello del mondo che nessun telefilm avrebbe mai eguagliato. Dunque l’orologio era ancora un oggetto di piacere al pari di una catenina d’oro, di un braccialetto o di un paio di orecchini. Erano i giovani che lo indossavano ma i genitori ed i nonni, neanche a parlarne. Per la verità c’erano alcuni orologi utili. Il vecchio nonno Gianin aveva un orologio cipolla con coperchio che teneva nel taschino della giacca e fissato con una catenina. Seduto sotto la quercia ogni tanto controllava l’ora e diceva ‘’ e prit u sè scord’’ (il prete si è scordato di suonare la campana). Sopra il loggiato del comune di Cesena esisteva ed esiste un grande orologio che i contadini consultavano per ritrovarsi a mezzogiorno. Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di Cesena ed abitato da famiglie di contadini. La mia era una di quelle ed io ero un bambinetto al quale certi ricordi sono rimasti impressi. Mancavano ancora due settimane al matrimonio e dopo avere obbligato il marito a comprare le scarpe nuove, il mercoledì successivo la Maria aveva portato Poldo ad acquistare l’orologio. L’orologiaio si trovava a Cesena in ‘’via d’iuresp’’ (via degli Orefici). Alla fine la scelta cadde su un orologio finto oro con carica automatica. Poldo era un uomo sbadato e si sarebbe dimenticato di ricaricarlo, cosa c’era di meglio di un orologio che si sarebbe ricaricato da solo con i movimenti naturali del polso? Poi ci si ricordò che lo avrebbe indossato solo di domenica o quando c’erano le feste e durante le settimana sarebbe stato nel cassettino della specchiera e quindi avrebbe smesso di funzionare. Inoltre l’uomo lavorava in campagna, il polso era sempre sudato e spesso lo immergeva nell’acqua. Alla fine fu scelto quello a carica manuale e color oro. Dopo lunga trattativa fu pattuito il prezzo che comprendeva il cinturino in finto cuoio nero. Usciti dal negozio moglie e marito si separarono. Lei per andare in piazza a comprare un coperchio per la pentola grande che si era rotto, lui per andare a fare una bevuta nell’osteria ‘’Michiletta’’. In realtà come la Maria girò l’angolo, Poldo cambiò strada ed andò nell’osteria ‘’e Puten’’ che si trovava in fondo a via Pescheria. Il soprannome dell’oste che significa ‘’puttano’’ aveva un’origine ben precisa. A Cesena c’era ancora una casa chiusa dove le prostitute si alternavano ogni 15 giorni. Si diceva ‘’la quindicina’’. Dunque quando arrivavano le ragazze nuove in stazione era proprio l’oste che le andava a prendere con la cavalla ed il grande calesse. Faceva un lungo giro in centro per farle vedere e per mostrare la loro bellezza. La chiacchiera si diffondeva, la curiosità aumentava ed il mercato riprendeva vigore. Poldo andava in quell’osteria all’insaputa della moglie non per fare chissà che cosa ma perché le chiacchiere che si facevano davanti ad un bicchier di vino avevano un argomento ben preciso. Inoltre l’oste teneva sul banco molte fotografi delle ragazze in abiti discinti che alcuni uomini guardavano avidamente. Ma torniamo ai preparativi del matrimonio. Le cose da fare erano tantissime altroché l’acquisto delle scarpe e dell’orologio del buon Poldo. C’era da decidere dove fare ‘’la mangiata’’, in casa o presso una trattoria, proprio le prime iniziavano in quel tempo ad esercitare in campagna come il famoso ‘’Setaccio’’ di Longiano. Se fuori casa si doveva scegliere il menù ed il prezzo. Occorreva ‘’cavè al cherti’’ (fare le carte per il matrimonio). Bisognava accordarsi con il prete Don Antonio per organizzare la funzione. In questo caso la questione si complicava perché le famiglie degli sposi erano una repubblicana e l’altra comunista con l’aggiunta che la ragazza era incinta. Siccome era solo al secondo mese decisero di non dirlo anche se il prete mangiò la foglia perché non era usuale un matrimonio in novembre. Di solito ci si sposava in primavera quando la campagna era in fiore. C’era da decidere ed acquistare gli abiti degli sposi, le fedi nuziali, cercare in qualche cassetto una vecchia fede in oro della bisnonna che veniva data all’orefice che praticava uno sconto su quelle nuove. C’era soprattutto da individuare la camera da letto per i due colombi. Quella di Poldo era una vecchia casa contadina abbastanza povera di spazi. Al piano terra c’era il porticato. Poi la stalla, la cantina, la legnaia, il porcile ed una ripida scala che portava al primo piano dove c’era una grande cucina con camino, una stanza da letto dove dormivano Poldo e la moglie, una seconda stanza da letto dove dormivano il nonno vedovo ed il ragazzo da matrimonio. Come fare? Alla fine furono apportate alcune modifiche. La cucina fu rimpicciolita come pure le due camere da letto. Una sarebbe servita ai novelli sposi. Nello spazio residuo fu costruito ‘’e cambaret’’ (la cameretta) per il nonno. Per la verità il nonno non fu molto contento di finire in uno spazio angusto e diceva in paese: ‘’ i ma mes in te stalet dla cavala’’ (mi hanno esiliato in una cameretta piccola come quella della cavalla).
Per la verità avevo deciso di raccontarvi il matrimonio del figlio di Poldo. Mi sono lasciato prendere la mano e così ve lo racconterò la prossima volta.
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