Anche se già nell’antica Roma pare che le lenti fossero a volte usate da alcuni studiosi per ingrandire dei particolari (Seneca sembra indicare nelle sfere di vetro un mezzo per ingrandire le immagini); anche se i monaci miopi utilizzavano pezzi di quarzo come lente di ingrandimento, è solo tra il XIII e XIV secolo che compare la prima documentazione dell’uso di quelli che noi oggi chiameremmo occhiali, ovvero lenti usate per attenuare i difetti della vista.
Sebbene già nei Capitolari delle Arti Veneziane della fine del ’200 e dell’inizio del secolo successivo si parli di lapides ad legendum (lenti di ingrandimento) e di roidi da ogli (occhiali da vista), la tecnica di produzione di quest’ultimi rimase un segreto a lungo custodito dalla Repubblica veneziana. Anzi erano previste pene severe per coloro che lo avessero svelato.
Il frate domenicano Giordano da Pisa, durante una predica tenuta nel 1305 in Santa Maria Novella a Firenze, annunciava agli astanti che non erano trascorsi neppure vent’anni «che si trovò l’arte di fare gli occhiali, che fanno vedere bene, ch’è una delle migliori arti e delle più necessarie che ‘l mondo abbia». Successiva di qualche anno l’annotazione contenuta nella cronaca del convento domenicano di Santa Caterina di Pisa in cui, ricordando la capacità di un certo frate Alessandro della Spina (secc. XIII-XIV) di saper rifare tutto ciò che vedeva, si dice che egli avesse riprodotto degli ocularia che altri prima di lui avevano fatto, ma il cui segreto non volevano rivelare. Se, dunque, frate Alessandro della Spina non fu l’inventore degli occhiali, fu però capace di riprodurli, e fu il primo a divulgare in Toscana l’arte della loro costruzione. Gli occhiali nel Medioevo erano una sorta di pince-nez, costituita da due lenti rotonde chiuse in una montatura priva di stanghette che si appoggiava a mo’ di pinza stretta sul naso, costringendo chi li indossava a respirare a fatica. Solo nel ’700 comparvero i primi occhiali con stanghette.
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