A Leonardo, figlio di Guglielmo figlio di Bonaccio (da cui Fi’ Bonacci), si deve tradizionalmente la diffusione nel mondo occidentale dei numeri arabi e della numerazione posizionale: cioè, semplificando, l’invenzione dello zero. Invenzione che permise di compiere le operazioni matematiche in maniera molto più rapida e semplice di quanto non avvenisse fino a quel momento con i numeri romani (composti come erano da lettere). I numeri utilizzati da Fibonacci erano quelli che gli Arabi avevano, a loro volta, mutuato dagli Indiani. Leonardo era figlio di un impiegato della dogana di Bugia, in Algeria, e fu proprio dai colleghi arabi del padre che apprese il sistema di calcolo che rivoluzionò il mondo. Attraverso il suo Liber abaci (1202-1208) la numerazione araba fu resa nota a tutto l’Occidente.
Non tutti sanno che, ben prima dell’apparizione del libro di Fibonacci, alcuni notai utilizzavano già le cifre arabe. Non altrettante sono, però, le attestazioni di un uso concreto di questi numeri. Tra queste, merita segnalare il caso del notaio Raniero di Perugia che tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo utilizzava sapientemente le cifre arabe per annotare il numero delle righe che componevano i suoi instrumenta [vedi I Notai] in modo che non potessero essere in alcun modo contraffatti.
Il termine zero deriva dall’arabo sifr, che significa “vuoto”. Questo termine veniva spesso tradotto in latino per semplice assonanza con zephyrus (figura della mitologia greca, personificazione del vento di ponente). Lo stesso Fibonacci utilizzò il termine zefiro nel suo Liber abaci per indicare lo zero.
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