giovedì 17 novembre 2016

IL SIMBOLISMO DEL CIPRESSO


Il suo nome latino è “cupressus”, che a sua volta viene dal greco “kypárissos”, anche se sembra che questo termine sia di origine cretese. È una pianta che raggiunge e supera i cinquecento anni ed esistono ancora esemplari millenari. Nei tempi passati, il legno di cipresso, considerato legno di pregio, aveva usi specifici: veniva usato per le porte dei templi, le statue lignee, i sarcofagi; in tempi successivi, per gli strumenti musicali, come i clavicembali. In tutte le culture del passato, il fuoco era simbolo di luce e quindi di vita, così per la sua forma slanciata, il cipresso ricordava la fiamma: fu per questo che i Persiani, adoratori del fuoco, ritenevano il cipresso una pianta sacra e la coltivavano vicino ai templi. Lo definivano “primo albero del paradiso”. Gli antichi Romani, invece, erano soliti piantarlo a guardia delle terre coltivate, dei campi, dei giardini, delle vigne, come simbolo di fertilità. Il poeta Catullo, ci tramanda che il cipresso era l’albero che veniva dato in dono agli sposi, perché considerato simbolo del perpetuarsi della vita. Infatti, la tradizione deriva dalle sue peculiarità di essere un albero sempreverde, ma più ancora per essere estremamente longevo. A questo tipo di simbolismo del cipresso si aggiunge, in epoca successiva, il simbolismo funerario. Il poeta latino Ovidio ci narra, nelle “Metamorfosi”, di Ciparisso e del suo fantastico cervo dalle corna d’oro. Un gioco crudele del destino, però, pose fine a quell’amicizia. Un giavellotto lanciato per gioco trafisse il cervo, che sdraiato nell’erba alta era nascosto alla vista. Ciparisso era deciso a morire per seguire il compagno e rifiutò l’aiuto di Apollo, e così come aveva chiesto, fu trasformato in un cipresso per simboleggiare un lutto eterno. Il cipresso è anche protagonista di un fioretto di san Francesco. Si narra che il Santo, nell’anno 1213, vicino Forlì, si accorse che un pezzo di legno del fuoco non bruciava, allora lo allontanò dal braciere e lo interrò, dicendo: “Se proprio non vuoi bruciare, ritorna a vivere”. Venne subito ubbidito: da quel tronchetto nacque il cipresso che, ancora oggi, è vegeto.

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