E adesso chi ci dirà più che «La Corazzata Potemkin» è una boiata pazzesca? Era una falsità cinefila, ma una verità sociologica.
Se ne è andato oggi — in una clinica privata di Roma, all’età di 84 anni, dopo giorni di ricovero a causa del suo diabete — Paolo Villaggio, col suo corredo di stramberie, lasua moda personale, e si è portato via la maschera di Fantozzi, il travet umiliato e offeso della piccolissima borghesia nato nel corso del tempo dalla precisa osservazione della middle class angariata dal Padrone e dal fatto che egli stesso era stato un impiegato d’azienda. Era un Paperino ad orario fisso, cartoon vivente — come Chaplin, Sellers — in cui tutti ci siamo identificati nel rituale quotidiano.
Le affinità elettive con De André
Villaggio è stato una macchina da guerra: libri, cabaret, teatro, cinema, radio e tv; e alla fine stanchezza e delusione. Nato l’ultimo giorno del 1932 a Genova, dove visse anni scapigliati coincidendo per affinità elettiva con Fabrizio de Andrè, con cui fece l’entertainer nelle navi di crociera, colleghi di Berlusconi. Villaggio è poi sceso dalla nave passando al cabaret, il solido gruppo goliardico Baistrocchi, fino all’avviso di chiamata dello Stabile di Genova di Chiesa e Squarzina che nel ’66 lo vollero in alcune produzioni. Figlio di ingegnere siciliano e madre veneziana insegnante di tedesco, fratello gemello di un medico, Villaggio è stato il «disonore» della famiglia, prima assunto all’Italsider ma poi vendicativo osservatore di tempi cinici e bari, partendo dai microfoni radio del «Sabato del villaggio» fino all’exploit nel ‘68 con «Quelli della domenica». Una trasmissione miniera di nuovi talenti: Cochi, Renato, Boldi, Iannacci e Villaggio che spopola e si sdoppia in Franz, mago tedesco sadico già presentato in piazza Marsala a Genova e ora negli studi tv se la prende col pubblico milanese; e Giandomenico Fracchia, vigliacco, untuoso, ipocrita impiegato che sembra uscito dai racconti di Gorkji, pronto a tutto per uno scatto di carriera, fino a diventare il popolare rag.
Una irresistibile crudeltà
Ma inutile negarlo:
la fama rotonda di Villaggio, che nell’ultimo periodo amava anche le confessioni monologanti e autobiografiche del teatro, come l’amico Gassmann, sta nella cassetta di sicurezza dell’irresistibilmente crudele Fantozzi, sceneggiato con maestri come Benvenuti e De Bernardi. Fu record d’incassi lungo una saga, figlia di una commedia all’italiana deformata all’inizio dallo spiritoso Luciano Salce nel ’75, proseguita nel 76 con incassi da capogiro per la Cineriz, passata poi in eredità in una decina di episodi non tutti all’altezza e in decrescendo di box office. Gag ripetitive e non sempre clamorose con Fantozzi che resuscita, va in pensione, subisce, va alla riscossa, torna, vince la lotteria, viene congelato, clonato: è l’omino in controluce che si nasconde in ciascuno. Dopo i due di Salce, i film fantozziani furono tutti (meno l’ultimo) diretti da Neri Parenti, regista di fiducia di De Sica-Boldi. L’aveva diretto in storie ispirate ai personaggi cult, tra campioni d’incassi serializzati: «Le comiche» e i «Grandi magazzini», «I pompieri», «Scuola di ladri», sempre in cast grupparoli. Villaggio non rifiutava nulla, sapeva fare il mattatore ma anche dividere il successo, garanti molti episodi in titoli in subaffitto con beniamini amici come Tognazzi.
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