Arrotino, arrotino donneee…!». Con questo richiamo, o qualcosa di simile, che risuonava nelle viuzze dei piccoli borghi di campagna, o in vicinanza di abitazioni rurali, l’arrotino si annunciava creando un po’ di scompiglio nelle case ed un accorrere frettoloso di donne attorno alla sua bicicletta. Lui scendeva con calma, con gesti misurati e sicuri metteva in funzione i suoi attrezzi,e tra una facezia, una battuta e un frizzo, cominciava ad arrotare forbici di tutte le grandezze e coltelli di tutti i tipi. Il suo era un mestiere ambulante, spesso tramandato di padre in figlio. Talvolta era un secondo lavoro esercitato nei mesi invernali, per integrare lo scarso bilancio familiare. Quasi sempre veniva da zone tra le più povere e disagiate. In tempi meno vicini a noi giungeva a dorso di mulo trascinando il suo carretto con la mola e tutti gli arnesi del mestiere. In tempi più recenti arrivava in bicicletta, o meglio su una specie di “biciclo-carretta”, un “ibrido”, che associava alla bicicletta per spostarsi, la mola per arrotare. Quando si fermava rovesciava il carretto dotato di una grossa ruota di legno cerchiata in ferro, agganciava qualche cinghia che metteva in moto la ruota, versava un po’ d’acqua in un secchiello che sgocciolava sopra la mola e cominciava ad affilare le lame, girando la mola a forza di gambe. Con lo scorrere dei tempi, la bicicletta è divenuta un motorino e questo un furgone più o meno arrugginito… Di solito mangiava “all’asciutto” con qualcosa portato da casa. Raramente accettava un piatto caldo. Quando si faceva sera, cercava un posto per dormire, gli bastava un fienile, o una stalla. La mattina si alzava all’alba, si lavava alla fonte pubblica o al ruscello e partiva senza disturbare. Se gli era ancora rimasto del lavoro da fare, si rimetteva alla mola, completava il lavoro, riscuoteva quanto gli era dovuto riponendolo in una cassetta, salutava e… via, verso il nulla, da dove era venuto. Rimaneva solo l’eco della sua voce: «Arrotino, arrotino donneee…! Donne belle… arrotinooo!».tino
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