mercoledì 1 marzo 2017

Racconti di vita...

Condivido questo racconto che ci viene suggerito, scritto da Grazia Nardi sulla pagina "Rimini sparita" ... ancora bei ricordi di vita ...

Racconti di vita...

“Cosa ci hanno lasciato" di Grazia Nardi
Vocabolario domestico

“Azidènt mu mè e ma che dé ca sò nèda ... l’èra mej sé naséva un ròsp ...

Accidenti a me ed al giorno in cui sono nata ... era meglio se allora nasceva un rospo ...

Certo, siamo al culmine della rabbia, dell’esasperazione e, a volte, della disperazione ... un commento che ho sentito molte volte pronunciare dalla mamma ...

Le cause che stavano alla base di questo stato d’animo erano autentiche e profonde anche se la molla che faceva scattare era più leggera… la classica goccia ...

E per questo noi bambini avevamo la triste occasione di assistere, preoccupati e spaventati, agli sfoghi.

E i motivi che, come diceva la Elsa, “i magna e’ feghèt” erano riconducibili essanzialmente tre situazioni: la salute, la mancanza di soldi (e già queste due, spesso, andavano di pari passo), le liti col babbo, in parte legate al secondo punto, in parte dovute alla gelosia.

Ricordo l’angoscia che si percepiva nell’aria quando la mamma non aveva i soldi per la spesa giornaliera perché aveva finito quelli (pochi, troppo pochi) che il babbo le dava. Dirglielo significava provocare una lite dai toni molto accesi, così cercava “rimediare”.

E quando, la mattina la vedevi con gli occhi lucidi, si faceva tardi e non usciva, come gli altri giorni, per andare alla bottega, sul fuoco nessun tegame ... il malessere ti entrava dentro, smettevi di essere una bambina o, meglio, fingevi di esserlo perché il dolore ti distraeva dalla tua vera età.

E i rimedi erano i soliti, quelli che aggravano anziché allegerire la situazione economica:

chiedere un prestito all’amica che te li dava, di nascosto da suo marito e che, quindi, al più presto andavano restituiti, usare il “libretto” dove la vicina “segnava” il conto della bottega ... ma mica si poteva fare spesso!

... chiedere aiuto alla nonna, racimolando tutte le scorte di cibo per “rimediare” con molta fantasia il menù della giornata ... vedi la “trippa finta” ottenuta con una sorta di omelette di uova, forma e farina, fritta e poi tagliata a listarelle, dopo averla arrotolata e, infine, “messa su” col sugo e con i condimenti propri della trippa.

Una volta, fallito ogni altro tentativo, portò la fede (verghètta) al Monte di Pietà e la sostituì con una falsa presa al Bazar Romagnolo, sul mercato. La differenza di colore, rispetto l’oro vero, era evidente ma il guaio si manifestò quando, mettendo a bagno le mani nella varrecchina, lo smalto dorato si sciolse…. 

La gelosia invece era reciproca, quella della mamma dovuta al fatto che il babbo era un “bel’òm..”, capelli folti e ricci che pettinava passandosi le dita di una mano o frizionandoli con la brillantina “Testa nera”, alto, muscoli al posto giusto, abbronzato ... e con assoluta libertà d’uscita ... quando allora rincasava tardi senza dare plausibili spiegazioni ... il pensiero andava subito alla corna ...

Un giorno in cui la mamma stava arrivando a casa, portandomi sul sellino anteriore della bicicletta, inchiodò improvvisamente le ruote perché aveva incontrato quella da lei definita “l’amiga dè tù bà”, mi fece scendere per farmi sedere sugli scalini della chiesa di Sant’Agostino mentre, tolto lo zoccolo che portava ai piedi, si avventò sulla signora ...

Quella del babbo più che gelosia s’identificava con lo spirito di possesso, proprio del suo carattere e più diffuso a quel tempo quando la parità non era nemmeno ipotizzabile. Ancora lontano il nuovo diritto di famiglia, in vigore, invece, il reato di abbandono del tetto coniugale che si faceva valere solo verso le donne, del tutto “normale” il delitto d’onore dove, anche qui, la vittima era sempre una lei… del resto anche il diritto al voto era stato riconosciuto alle donne solo qualche anno prima. Ma il babbo ci metteva del suo anche perché gli bruciava che la mamma fosse più giovane di dodidi anni, morale: la moglie poteva uscire da sola per la spesa e non metterci troppo tempo.

Dunque i motivi di tensione non mancavano. La mamma si teneva il più possbile “e’ magòun” ma, come dicevo, alla prima occasione, il vulcano esplodeva.

Una volta “tirando” la spoglia, questa “non teneva”, ad ogni passata di mattarello si spaccava costringendola a reimpastare il tutto… una, due, tre volte.. alla quarta la vidi appallottare il tutto e tirarlo contro i raggi della bicicletta appoggiata al muro di casa…passando da “a sarìa un dievùl, un serpèint “ al “azidènt mù mè e….”ma bastava che mentre bolliva l’acqua della pasta, venisse meno la bombola del gas, nell’orario in cui il rivenditore era chiuso “ tóti mù mè..”

E naturalmente ci andavamo di mezzo anche noi, bambini… uno dei segnali ch stavano ad indicare l’inizio di una giornata nera era la modalità con cui la mattina mi pettinava ... se, nel farmi la “coda” con voce alterata mi intimava “nu mòvtè!” tirando i capelli fino a spostare la testa…alè!

Anche se il massimo del dolore si raggiungeva quando si ammalavano i bambini perché sulla “proprie” disgrazie poteva scendere anche la rassegnazione “ a so nèda sgrazièda e sgrazièda a mòr” ma i figli no, loro dovevano avere una sorte diversa, un futuro migliore anche perché “i fiól i vèin dè còr, e’ marìd da la porta..”!

Vorrei fosse chiaro che questi ricordi mi riempiono di tenerezza perché, nonostante fossimo nell’età dei giochi, ci era chiara la situazione, palpabili le difficoltà materiali e morali.. anche questo è servito poi, crescendo, a distinguere l’essenziale irrinunciabile dagli inutili orpelli di vario genere, quello che ti fa stare veramente bene diversamente da quello che ti vorrebbero far credere ...

Nella foto..il babbo

Nessun commento:

Posta un commento