domenica 2 luglio 2017

NAVI NELLA STORIA

PREISTORIA

Dall’osservazione spontanea e attenta della natura, l’uomo preistorico imparò, giorno dopo giorno, ad abitare il pianeta Terra. 

Gli bastò osservare foglie, rami, tronchi galleggiare sulle acque, o scorrere via trascinati dalla corrente, per cominciare ad inseguire un sogno: navigare! 

Possiamo ritenere con certezza che la zattera e la piroga siano state le progenitrici di ogni tipo di imbarcazione successiva. 

Tutta la Polinesia ed il Sud-Est Asiatico furono raggiunti e popolati in diverse grandi ondate migratorie (tra il 40 000 e il 4 000 a.C.) attraverso l’impiego di zattere rudimentali.

EGIZI

Nel mondo cosiddetto “occidentale” le prime testimonianze di imbarcazioni rudimentali (disegni, incisioni) provengono dall’antico Egitto, dove la vita era regolata dal grande fiume: il Nilo. 

Gli egiziani cominciarono con l’utilizzare le canne di papiro per le loro imbarcazioni, poi passarono al legname (circa 2 700 a.C.). Intorno al 3 500 a.C. avevano già cominciato ad usare la vela vera e propria (le prime raffigurazioni risalgono al 3 100 a.C.) e per àncora tenevano a prua una grossa pietra legata a una fune. 

Inizialmente a carattere fluviale, l’industria navale egizia, a contatto con quella fenicia, si affermò come una delle più importanti dell’antichità.

FENICI

Con il declino della potenza egizia (sec. XI a.C.), il dominio del mare Mediterraneo fu assunto dai fenici. 

Popolo vissuto a stretto contatto con tutti gli altri popoli del Medio Oriente per ragioni geografiche e commerciali, aveva sviluppato tecniche di impiantistica navale e di navigazione veramente all’avanguardia, che gli permisero di spingersi per tutto il Mediterraneo ed oltre, fino alle isole Canarie e alle coste occidentali del Nord Africa e della Penisola Iberica. Le loro navi, costruite con gli imponenti cedri del Libano, suscitarono l’ammirazione e influenzarono l’industria navale di altri popoli marinari, come gli etruschi, i greci, i cartaginesi e i romani. 

Ai fenici si deve l’invenzione dell’ancora.

GRECI E ROMANI

Sotto il pungolo della potenza marittima fenicia, anche le imbarcazioni greche, dapprima adatte solo a una navigazione costiera, assunsero dimensioni, forme e attrezzature capaci di contrastare il primato dei fenici nel Mediterraneo. 

È rimasta alla storia la triere greca, poi divenuta, con opportuni miglioramenti, la trireme romana: nave da guerra con due o tre alberi muniti di vele e tre ordini di remi. 

Con i suoi 40 m di lunghezza, 200 t di stazza e 300 uomini d’equipaggio (di cui 150 ai remi), fu adottata da tutte le flotte del Mediterraneo, e ne rimase la regina incontrastata fino all’inizio dell’era volgare.

VICHINGHI

Dalla fine dell’VIII fino al XI sec. d.C., dai mari del Nord Europa si imposero i vichinghi con i loro drakkar (dragoni, per la testa di drago o di serpente scolpita sulla prua): imbarcazioni robuste, basse sull’acqua, con poppa e prua alte e ricurve, perfettamente uguali per poter procedere da ambo i lati senza dover fare manovra, dotate di remi e di una grande vela quadra. 

I vichinghi dapprima agricoltori e colonizzatori, si trasformarono in seguito in predatori stile piratesco, fino a diventare veri e propri conquistatori. 

La loro abilità sulle onde li portò dai Paesi Baltici a tutto il Mediterraneo, fino all’Islanda, Groenlandia (1001), penisola di Labrador e isola di Terranova.

GALEA

Durante il Medioevo rimasero attive due scuole cantieristiche: la “scuola nordica” che continuò la tradizione vichinga, e la “scuola mediterranea” che adottò innovazioni arabe. In ambito mediterraneo si affermò la galea (o galera), rimanendovi incontrastata dal IX al XVIII secolo. 

Nave soprattutto da guerra, fu adottata per quasi tutti gli usi marinari, per cui se ne conoscono numerose varianti. La galea deriva dai dromoni bizantini; lunga fino a 40-50 m, era attrezzata con due alberi muniti di vela, due ordini di remi ciascuno con 25/30 rematori per lato; nella versione da guerra era dotata di catapulte (prima) e di cannoni (poi), e di un lungo rostro a prua impiegato per fracassare gli impianti remieri delle navi avversarie. 

Le galee, navi delle crociate e delle repubbliche marinare, furono protagoniste della battaglia di Lepanto.

CARAVELLA

Nei secoli XV e XVI, all’inizio dei grandi viaggi e delle grandi esplorazioni, serviva un tipo di imbarcazione robusta, ma allo stesso tempo agile e leggera, capace di risalire i grandi fiumi e facile da tirare in secca per eventuali riparazioni. 

Ecco allora l’affermarsi della caravella: una nave abbastanza allargata, che non richiedeva equipaggi numerosi, capace, con i suoi tre alberi montanti vele quadre e triangolari (latine), di profittare dei venti. 

Con tre esemplari di questo tipo di nave, la Pinta, la Niña, la Santa Maria, Cristoforo Colombo approdò nel 1492 sulle coste dell’America Centrale.


GALEONE

Con le grandi scoperte dei secoli XV e XVI e l’inizio dello sfruttamento coloniale, serviva una nave da carico di grande capienza, e nello stesso tempo una nave da guerra capace di difendere dai pirati le merci trasportate, spesso di grande valore. 

Nasce così, alla metà del sec. XVI, il galeone: un connubio tra la più grande galea da guerra, la galeazza e le tonde navi mercantili del Medioevo.

Il galeone era una nave molto alta di bordo, priva di remi, dotata di 3/4 alberi montanti vele quadre e latine, e di 2/3 ponti rialzati; era armato con 50/70 cannoni disposti in più ordini. 

Ma la vita del galeone non fu di lunga durata: difficile da controllare sul mare in tempesta, poco adatto a muoversi in spazi ristretti, ingovernabile con pochi uomini d’equipaggio, dopo un secolo e mezzo di servizio non venne più riprodotto.

VASCELLO

Il vascello, unità di linea delle flotte veliche, è una derivazione molto migliorata del galeone. 

Con i suoi 65/75 m di lunghezza, i 14/17 m di larghezza e le sue 2.000/5.000 t di stazza, risulta la più grande realizzazione di cantieristica navale all’epoca della navigazione a vela. 

Creato dagli olandesi nella seconda metà del sec. XVI, aveva una struttura molto solida unita a un’ottima manovrabilità. Dotato di tre alberi più il “bompresso” e privo di impianti remieri, poteva sviluppare fino a 3.000/3.500 metri quadri di superficie velica. 

Era armato di 74 cannoni (se a due ponti), o di 90/120 cannoni (se a tre ponti) ed imbarcava dagli 800 ai 1200 uomini d’equipaggio. 

Rimase in attività per tre secoli, fino alla metà del sec. XIX. Scomparve con la diffusione della navigazione a motore e l’avvento della propulsione ad elica.

PIROSCAFO

I secc. XVIII e XIX registrano una grande quantità di invenzioni e scoperte. 

Nel settore nautico, soprattutto due: l’impiego del ferro per rivestire lo scafo delle navi (dette perciò corazzate) e l’impiego del vapore come forza motrice (inizi Ottocento). 

La propulsione a vapore suscitò inizialmente molto scetticismo, tuttavia cominciò ad affermarsi sui mercantili destinati ad una navigazione fluviale e costiera, in funzione ausiliaria rispetto alle vele. 

Poi, con l’avvento dell’elica (1836), i problemi si appianarono rapidamente, tanto che nel 1870 le navi a vapore risultavano più numerose di quelle a vela. Il termine piroscafo, passato a indicare una nave a vapore, deriva dal nome di un barcone di circa 40 m (Pyroscaphe), sul quale il francese Jouffroy d’Abbans, nel 1785, sperimentò con successo sulla Senna un propulsore a vapore.
MOTONAVE

Le navi a vapore ponevano diversi inconvenienti: scomodità e fragilità delle pale di spinta, necessità di ingenti spazi per macchinari e combustibile. 

Si pensi che le camere di combustione della corazzata americana Mississippi (primi del Novecento), bruciavano fino a 16 tonnellate di carbone ogni ora. 

Ma piano piano ad ogni problema si trovò la soluzione: dapprima si pensò ad una propulsione mista (pale e vele), poi fu inventata l’elica, poi il motore a duplice e triplice espansione (dal 1845 in poi), indi fu la volta della turbina (1887)… Infine fu inventato e poi applicato alle navi il motore a combustione interna (il primo motore diesel fu utilizzato sulla svedese Selandia nel 1911) e le imbarcazioni raggiunsero dimensioni mai viste prima, veri colossi del mare. Le navi spinte da motori a combustione interna si chiamano motonavi. Le motrici a vapore andarono in pensione alla fine della Seconda Guerra Mondiale, mentre i transatlantici spinti da motori a combustione interna dominarono il trasporto passeggeri fino al 1958, quando decollò l’aereo Boeing 707 e assorbì la maggior parte del traffico internazionale passeggeri. I transatlantici vennero così trasformati praticamente in navi da crociera.

NAVI A PROPULSIONE NUCLEARE

La forza propulsiva nucleare è stato l’ultimo, rivoluzionario passo nel campo della tecnica motrice delle navi, che ha aperto prospettive dapprima insospettabili. 

Questo tipo di propulsione, che rende praticamente illimitata l’autonomia di un’imbarcazione, fu impiegata inizialmente nei sottomarini. 

Furono gli USA a costruire il primo sottomarino nucleare: il Nautilus, varato nel 1952, lungo 98,6 m e del peso di 4092 t. Al Nautilus fecero seguito altri esemplari russi, inglesi, francesi, sempre più grandi e dotati di tecnologie sempre più sofisticate. 

Negli anni 1960 la propulsione nucleare fu applicata anche alle navi, in particolare alle portaerei. Da ricordare le 12 portaerei americane della classe Nimitz, come la GeorgeWashington, varata nel 1990, lunga 333 m e del peso di 88.000 t. La propulsione nucleare è l’ultima e tuttora insuperata tecnica motrice in campo nautico.

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