In origine tale termine pare che avesse il significato di valentia, superiorità, eccellenza. L'attuale significato le sarebbe stato dato nel 1863, dopo la rappresentazione di un opera teatrale dialettale, "I Mafiusi di la Vicaria", che raffigurava le abitudini e la mentalità di un gruppo di reclusi del carcere palermitano della Vicarìa. In documenti ufficiali, il termine è presente per la prima volta in un rapporto del prefetto di Palermo F. A. Gualtiero, inviato nell'aprile del 1865 al ministro dell'interno, per definire una "associazione malandrinesca". Il termine derivato mafioso comparirà per la prima volta nel 1876 nell'inchiesta sulla Sicilia di L. Franchetti e S. Sonnino.
La parola dovrebbe essere di origine araba, anche se le ipotesi sono molteplici.
Il termine venne inizialmente utilizzato per indicare una organizzazione criminale originaria della Sicilia e con ramificazioni anche negli Stati Uniti, più precisamente definita come Cosa Nostra, parola che divenne pubblica al mondo durante il processo al primo pentito della mafia italoamericana, Joe Valachi. La mafia, seppure sotto diverso nome, compare negli atti giudiziari solo nel 1838, quando il procuratore generale di Trapani, Pietro Ulloa, parla di "unioni e fratellanze, specie di sette" dando un primo quadro agghiacciante delle complicità e delle compiacenze che consentono alla malapianta di crescere: "Non vi è impiegato in Sicilia che non si sia prostrato al cenno di un prepotente o che non abbia pensato a tirar profitto dal suo ufficio…" Sono le "fratellanze che generano la mafia e dettano le prime norme non scritte di un'associazione formata non da "uomini d'onore" perché di questo ancora non si discute ma da "uomini di parola", con una distinzione fin troppo sottile perché semmai prevale qui l'assonanza fra "onore" e "parola".
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