Un riccio ed un gufo sono i protagonisti di questa nuova,
bellissima favola di Francesco Smelzo...
Allo stagno, dentro un nido ricavato sulla vecchia quercia, viveva un vecchio gufo.
Nessuno degli altri animali avrebbe saputo dire con certezza quanti anni avesse, perché tutti erano nati dopo di lui.
Il gufo Pompeo – questo era il suo nome – era considerato l’animale più saggio dello stagno. Aveva una risposta pronta per tutto.
«Pompeo, sarà un inverno freddo?» – «Pompeo, secondo te dov’è meglio costruire il nido per evitare che venga spazzato via dalla piena del fiume?» – «Pompeo guarirà mio marito dalla malattia?», queste e molte altre erano le domande che gli facevano continuamente gli animali.
Pompeo un po’ stava a rispondere, appollaiato sul ramo davanti al suo nido, poi, infastidito dalle troppe domande rientrava nel suo buco scuotendo le piume e brontolando : «non si può stare in pace neanche un minuto per prendere una boccata d’aria!»
Si dice – ma queste sono voci non confermate, tramandate da generazioni – che il nido di Pompeo, con quell’entrata così angusta, all’interno fosse molto spazioso e contenesse molti libri.
Pare – sempre secondo le voci – che in gioventù il gufo fosse stato allevato dagli umani, in una villa vicina alla città ed avesse imparato a leggere.
Come si fosse procurato i libri è un mistero, c’è chi dice – ma sono sempre voci – che una notte un carro pieno di libri diretto in città passasse vicino allo stagno e a questo carro si fosse rotta una ruota, facendo rovinare parte del carico sul ciglio della strada.
Dice che allora Pompeo, che allora era un giovane gufo, avesse portato i libri abbandonati lì dagli uomini, andati a cercare aiuto, uno ad uno al nido e che poi si fosse chiuso a leggerli per anni.
In qualunque modo stessero le cose Pompeo aveva una risposta pronta su tutto, bastava non insolentirlo con troppe domande. Alla prima domanda alzava un’ala grattandosela con la zampa, alla seconda domanda alzava le penne della testa come avesse avuto una cresta, alla terza domanda strizzava i grandi occhi gialli e alla quarta… bè alla quarta reagiva come abbiamo detto prima: rientrava nel suo buco scuotendo le piume e brontolando.
Gli animali dello stagno quindi sapevano che avevamo al massimo tre domande quando dovevano chiedere qualcosa al gufo.
Era diventato anche un modo di dire. Quando qualche animale poneva ad un altro una domanda difficile spesso questi rispondeva : «… e che ne so io! Chiedilo al gufo!».
«Chiedilo al gufo» disse infatti quel giorno mamma Riccia a suo figlio, Riccardo.
Il riccio Riccardo era il più piccolo della nidiata di mamma Riccia, contrariamente ai suoi fratelli, che andavano sempre nel bosco in cerca di lombrichi, Riccardo stava sempre alle costole di sua madre tempestandola di domande.
Quel giorno le fece una domanda veramente strana: «mamma, mamma dove va il sole quando tramonta?».
«Oh diamine Riccardo… ma com’è che ti vengono in mente queste cose? Che vuoi che ne sappia io dove va il sole… andrà per i fatti suoi. Vai nel bosco a cercar lombrichi con i tuoi fratelli!»
«Ma mamma, io sarei veramente molto curioso di sapere dove va il sole di notte, chi è che me lo può dire?»
La mamma Riccia, presa dallo sconforto esclamò allora – «e chiedilo al gufo! E adesso vai dai tuoi fratelli che ho da fare»
Il riccio Riccardo prese alla lettera l’esortazione della mamma e fu così che partì in cerca del gufo.
Chiedendo agli animali che incontrava arrivò quindi sotto la vecchia quercia, trovando il gufo Pompeo appollaiato davanti al nido che si godeva una boccata d’aria fresca.
Nessuno però aveva detto a Riccardo della faccenda delle tre domande e del brutto carattere del gufo, quindi si mise a gridare spavaldamente : «gufo, GUUUUFO!!!»
Questi, infastidito da quello strepito, rispose: «cosa diavolo vuoi piccolo puntaspilli!»
«Tu lo sai dove va il sole quando tramonta?» – gli chiese subito il riccio.
Il gufo alzò l’ala, se la grattò con la zampa e rispose:
«Il sole non è altro che una delle tante stelle, solo un po’ più vicina a noi, non è lui che va via, è la terra che ruotando su sé stessa gli volta la faccia esponendo al sole un altro lato e lasciando al buio quello dove abitiamo noi»
Al riccio Riccardo, a questa risposta, vennero in mente un milione di cose da chiedere al gufo, alla fine ne scelse una: «Gufo sapiente, ma il sole e le stelle e l’universo intero quanto sono grandi?»
Il gufo alzò le penne della testa come avesse avuto una cresta e rispose: «Se l’intero stagno fosse tutto l’universo, un granellino della sabbia che hai sotto i piedi sarebbe tutto il mondo che puoi vedere e conoscere con i più potenti strumenti che abbiamo.»
Il riccio si soffermò un bel po’ sulla risposta del gufo, rimanendo in silenzio per parecchio tempo, poi disse al gufo: «Se noi siamo solo un granellino di sabbia in confronto a tutto lo stagno non potremo mai arrivare a conoscere tutto, vedremo al massimo i granellini che stanno a noi vicini, ma non quello che sta sull’altra riva!»
Il gufo questa volta non strizzò i grandi occhi gialli e rimase lui, adesso, in silenzio per parecchio tempo guardando il piccolo riccio. Infine gli disse: «Grazie ragazzo, oggi sei tu che hai insegnato a me una cosa molto importante.»
«Cosa?» – rispose Riccardo.
«Che per quanto mi possa sforzare non arriverò mai a sapere tutto.»
«Ma l’importante è… provarci vero?» – disse il riccio
Contrariamente alle proprie abitudini alla quarta domanda il gufo non se ne tornò nel suo nido scuotendo le piume e brontolando, ma disse: «Sì, piccolo riccio, l’importante è provarci.»
E da quel giorno, il riccio e il gufo divennero grandi amici.
Li potevate trovare quasi tutte le sere, prima del tramonto, alla vecchia quercia vicino allo stagno, a parlare per ore, talvolta fermandosi in silenzio a fissare l’orizzonte come se cercassero di vedere almeno qualche granellino di sabbia più in là.
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