domenica 15 gennaio 2017

L'INVERNO RITROVATO di Dana Carmignani


Di inverni ne ho vissuti tanti, ma quello che ho in mente, non fu il solito inverno, fu un inverno ritrovato.

Si può ritrovare l'inverno come un amico? Si si può.

Così pensai al momento che arrivai qui in questa casa sballottata dalla vita, dalle situazioni e soprattutto dal mio cervello bacato, con solo i miei scatoloni … e i piumoni.

Il gelo dentro e nel cuore, l'umido arrivava al soffitto del salotto e in cucina alla notte se scendevi trovavi le lumache che camminavano strisciando.

Tutto sudicio, scuro, la casa che era sempre stata luminosa, mi sembrava buia, spenta. Forse ero io che ero spenta dentro, che non avevo più forze né voglie, e la casa ormai diventata un “rifugium peccatorum” mi seguiva.

“ Tanto si porta in Toscana...” erano le parole sempre pronunciate dai miei, e da Milano era stata trasferita qui una serie di cianfrusaglie insieme a belle cose che ormai riempivano ogni spazio. Mobili accatastati e smontati, cassapanche zeppe di vecchia biancheria, armadi pieni di biancheria nuova e senza senso, ciottoli e ciottolini, piatti, bicchieri scompagnati, perchè ognuno poi riportava quello che gli pareva e quindi a proprio gusto. La maggioranza delle volte nulla si combinava con altro ma faceva mucchio e basta... e ora ero arrivata anch'io con i miei scatoloni e il mio passato sulle spalle.

E c'ero arrivata d'inverno. E quello mi colpì perchè mi piacque. Mi sembrava appunto di aver ritrovato un amico invece di un nemico, che con le sue brinate che mi paralizzavano le mani, mi rafforzava però la schiena. Acqua diaccia, niente riscaldamento... mi dissi se ce l'ho fatta da bambina ce la devo fare adesso.

Il fuoco andava tutto il giorno, io bruciavo ogni legno che trovavo, mi chiedevo davvero come avevo potuto vivere così in quel modo da piccola, a malapena ce la facevo da grande, eppure evidentemente il mio passato aveva dato i suoi frutti perchè non feci altro che attingerci, riscoprendo un vissuto concreto, ma anche un vissuto intimo fatto di solitudine e di pensieri che via via che andavo avanti diventavano il mio nuovo vissuto.

In quelle giornate fredde, gelide, al solo calore del fuoco, le mie mani lavoravano con la mia mente , sul tavolo di marmo della cucina, e producevano novità. Buttai via l'inutilizzabile, ma sistemai il resto in ciò che alla fine allargavo fuori sui fili dei panni e fotografavo in mezzo a susini ancora spogli. 

Immerse in quei cieli invernali azzurri, le mie coperte spumeggiavano di colori. Coi ritagli e gli avanzi di stoffe conservate, tagliando e ricucendo appunto, avevo risistemato tutte le vecchie copertaccie di lana ancora quelle di nonna, e avevo creato dei piumotti colorati nei quali io e i miei gatti ci si avvolgeva la sera su una vecchia poltrona.

Avevo rispolverato scaldaletto e caldano, anzi due caldani, uno me lo mettevo nel letto per la notte, con le braci, e l'altro me lo mettevo fra le gambe e mi rintanavo come in un bozzolo, dentro ai miei nuovi piumoni colorati, per ripararmi dall'umido, dal freddo e dalle mie paure.

I mici con me uno da una parte e uno dall'altra, sotto un caldo nuovo che sentivo arrivare e che mi avvolgeva più delle coperte dandomi la sensazione di un futuro che sarebbe stato differente, ma ci sarebbe stato comunque, e forse mi sarebbe piaciuto anche di più.

Dell'inverno infatti , di quell'inverno, stranamente mi piaceva tutto, persino il freddo. Scoprivo dentro di me un calore diverso, che mi portavo sempre dietro. Alla sera mentre tutta avvolta negli scialli, andavo, proprio come facevano le vecchie donne, a prendere la legna, certi cieli infuocati si aprivano ai miei occhi da farti restare senza fiato per la bellezza, e ti facevano ringraziare e ringraziare e ancora ringraziare di esser viva. E alla notte era una goduria sentire il vento che fischiava all'esterno e anche fra le fessure delle finestre, o la pioggia che batteva sulle persiane mentre io e i mici ce ne stavamo sotto le coperte, accucciati come ragni.

Soprattutto lì, a letto, i miei nuovi piumoni eran serviti. Avevo recuperato vecchie lenzuola della Tata e ne avevo fatto dei copripiumini con i quali coprivo appunto il mio dormire e quello dei mici. Non ne bastava uno, ce ne volevano due in quella camera diaccia, uno sull'altro, più il fuoco dentro per star bene, ma che goduria quella freschezza, quella novità in un vecchio procedimento.

I mici si mettevano sotto con me, io sembravo un baccalà, ma che sogni lì acquattata mentre l'esterno anche di notte continuava in una vita che sapevi che c'era perchè la sentivi dai versi di un gufo o di una civettina che lontanissima dal farmi paura, veniva a cantare proprio sotto le mie finestre.

Al mattino mi alzavo presto, per forza se vai a letto con le galline... Anche quella fu una rivelazione, dopo anni milanesi di vita notturna, scoprii un mondo mattiniero con l'alba che nasce proprio davanti casa, che ce l'hai sempre avuta davanti, ma che come l'inverno andava rivisitata.

Fu in quelle mattine gelide, dove esattamente come alla mia epoca di bambina, esisteva solo un po' di tepore del fuoco che iniziai a scrivere. 

L'inverno mi aveva portato anche quella novità, che non è mai stata una novità perchè ho sempre scritto, ma … ma in quel periodo era diverso... dovevo farlo lo sentivo, era un bisogno impellente mi “scappava” proprio, e mi mettevo come da bambina sul tavolo da salotto, con una tazza di caffellatte davanti e la gatta in collo.

Il diario l'ho scritto così, con la Grufola che osservava la mia penna che scorreva sulla carta, il Neri acciambellato sulla seggiola, e le stagioni che si susseguivano dietro alla finestra.

Cambiavo io, cambiava il mondo intorno, cambiava la mia vita intanto che vivevo e risistemavo casa ed esistenza. Un'estate si portò via mia sorella, un'altra parte di me che se ne andava. Mi lasciò vuota, di un vuoto che volli accrescere perchè smontai tutta la sua camera, non volevo vederla, e ci sistemai invece i miei lavori che ormai erano determinanti per me e per la continuità.

Di lei non mi mancava la presenza, quella non l'avevo mai avuta, ma la voce. La telefonata più che altro mi veniva in mente, che mi faceva in quell'inverno che arrivai (lei era ancora viva) e che mi diceva banalità... mi ricordava di vedere un film magari... “ Guarda che su rete 4 c'è un bel filmetto..” ci piacevano le stesse cose... e la sera quando non ci fu più , montando le scale non avevo nessuna paura di presenze che sentivo vicine, perchè quelle erano, presenze vicine benefiche anche se mi facevano dolere l'anima.

E' tutto lì su quello scritto che è diventato poi un libro. Momenti di vita in diretta che hanno determinato altri momenti che vanno da un punto ad un altro punto, periodi di cambiamento di morte e di rinascita, ma quello che aggiungo è che osservando ormai la cosa dalle mie esperienze e dalle ormai molte “primavere”, è che il tutto dalle primavere non è nato, ma dall'inverno invece... da un inverno ritrovato.

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