‘’Ci un samson, a no mai cnusù un paciugon coma te’’ (sei uno smasone, non ho mai conosciuto un paciugone come te) disse la ragazza al moroso mentre lui nel buio cercava affannosamente di mettere le mani sotto la gonna e di slacciare la camicetta senza riuscire a combinare nulla. Una frase come quella detta da una donna avrebbe calmato i bollenti spiriti di un uomo ma lui era giovane e quasi non ascoltò. La scena che vi ho appena descritta si svolgeva nella cantina del contadino Giaz. Lei si chiamava Linda e lui era soprannominato Puldin. A proposito sapete cosa significa la parola dialettale ‘’smason’’? Non c’è una traduzione letterale in italiano, grosso modo si dice di uno che si muove in modo disordinato con la voglia di raggiungere l’obiettivo velocemente ma i realtà senza riuscirci. Dovete sapere che quella sera di febbraio a casa del contadino Giaz c’era una veglia invernale con circa 30 invitati. Fra di loro c’era anche Puldin, il fidanzato della figlia Linda. Da soli due mesi il ragazzo era ‘’andato in casa’’ cioè aveva chiesto ufficialmente la mano della ragazza e quindi ogni mercoledì e sabato sera andava a ‘’fare l’amore’’. Capiamoci bene, fare l’amore significava che il ragazzo passava la serata con la fidanzata a casa di lei in cucina ma sempre con la presenza vigile ed attenta della mamma che li ‘’badava’’. Verso le 10 di sera mentre in casa c’era un gran trambusto, i due ne approfittarono per andare in cantina con la scusa di vedere la cucciolata dei tre gattini appena nati. Non c’era la luce e la scena furtiva che vi ho descritta avveniva in mezzo alle botti ed al freddo ma all’epoca si faceva come si poteva. Sul momento il ragazzo non fece caso alla frase pronunciata dalla Linda poi ci ripensò e geloso com’era disse: ‘’se dici che non hai mai conosciuto un paciugone come me significa che in passato hai conosciuto altri ragazzi, voglio sapere i loro nomi’’. All’epoca gli uomini potevano vantare diverse relazioni con le donne anzi più ne avevano avute più erano stimati. Per le ragazze no, loro non dovevano. Dovevano passare ancora una decina d’anni perché le donne potessero iniziare a vantare gli stessi diritti. Nel frattempo cosa fare, aspettare ? No, le relazioni c’erano comunque ma semplicemente non venivano dette e la forma era salva. Comunque i due rimasero a ‘’cul dret’’ (a culo dritto, cioè arrabbiati) per molto tempo. Andò meglio a Pasutin figlio del contadino Pasota. La sua famiglia era molto povera e la mamma faceva fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. Il ragazzo si era fidanzato con la Lorella una bella ragazza bionda. La sua famiglia era di contadini benestanti. La data del matrimonio era fissata e quindi la mamma di lei non li badava più. Ogni sera che Pasutin andava a ‘’fare l’amore’’ si trovava solo con la fidanzata. Verso tarda ora faceva una capatina in cantina dove c’era una mensola di legno con tanti formaggi in maturazione. Lui ne prendeva uno e lo mangiava con la piadina. Un giorno il vecchio nonno disse:’’sperema che la burdela laspousa prest sinò ainarmitem ad furmai’’ (speriamo che la ragazza si sposi presto altrimenti ci rimettiamo tutti i formaggi). E che dire della cantina scavata nel tufo che univa la canonica di San Tommaso con la casa del contadino Urbano ad Blen? Come ho già avuto modo di raccontarvi in una precedente storia, fu proprio quello il luogo dell’incontro galeotto. Lui vedovo con quattro figli piccoli, lei, Maria, la giovane nipote del prete. La differenza di età non impedì un matrimonio felice e duraturo. Come avrete capito la cantina non serviva solo per conservare il vino ma era un luogo dove avvenivano tanti fatti diversi. Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino romagnolo sulle colline di Cesena ed abitato da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di quelle ed io ero un bambinetto al quale sono rimasti impressi molti ricordi. La cantina del contadino soprannominato Giulion era perfetta, seminterrata, con le pareti di tufo, con umidità costante e con una piccola finestrella sull’esterno per il ricambio dell’aria che confinava con un grande prato. Durante l’inverno lunghe file di salami erano appesi a stagionare. Erano divisi fra di loro perché ogni gruppo apparteneva a un contadino diverso. Molti erano insaccati nel famoso ‘’budel zantil’’ (budello gentile) ed erano i migliori perché più morbidi e saporiti. In primavera ogni contadino andava a prenderne qualcuno dei suoi avendo cura di contare i rimasti. Un anno, non si sa perché, qualche salame iniziò a sparire. Conta che ti riconta ne mancava sempre qualcuno. Chi era stato? Non sicuramente Giulion che era famoso per la sua onestà. Inoltre era lui che accompagnava in cantina i contadini quando venivano a prelevarli. Finalmente qualcuno che aveva qualche sospetto decise di fare la guardia. Fu così che si scoprì il ladruncolo. Era la Fafina una signora furba e birbantella della quale già vi ho parlato in altre storie. Lei era solita andare ‘’a fare’’ l’erba per i conigli proprio nel prato che confinava con la finestrella della cantina. Non vista, prendeva ‘’un lunzen’’ (un ferro lungo e sottile che terminava con un beccuccio), lo infilava nella cantina passando per la finestra e con grande maestria sfilava un salame. Poi lo nascondeva sotto la gonna. Quando la scoprirono spergiurò che lei non era colpevole e che non intendeva alzare la gonna perché lei le gambe le faceva vedere solo al marito. Comunque il furto dei salami terminò. Quel giorno ero andato a giocare a casa del mio amico Corrado. Nevicava fortissimo. La cantina aveva la porta d’ingresso sull’aia. A circa 20 metri c’era una grande pianta di sambuco coperta interamente dalla neve. In mezzo ai suoi rami trovavano riparo numerosi passerotti. La campagna era completamente innevata e non avevano di che cibarsi. Decidemmo di fare ‘’la trappola’’. Prendemmo un ‘’asse da lavare’’ (tavola di legno rettangolare che si utilizzava per lavare il bucato), la sistemammo sotto la pianta leggermente inclinata e tenuta sollevata da un piccolo bastoncino. Sotto la tavola mettemmo alcuni chicchi di grano, agganciammo una corda al bastoncino e ci nascondemmo in cantina con la porta appena accostata. I passerotti affamati subito si avvicinarono al grano ma erano molto guardinghi. Ogni tanto uno di loro andava in avanscoperta per verificare il pericolo e beccava un chicco. Noi aspettavamo che 4 o 5 volatili si raggruppassero sotto la tavola. A quel punto con uno strappo alla corda facevamo cadere la tavola imprigionando i poveri animaletti. Per la verità la caccia non fu fortunata. Al ritorno a casa mio babbo mi sgridò seriamente. Come mi permettevo di cacciare passerotti affamati? Cosa mi avevano fatto di male? Invece in estate i volatili arrecavano danni in campagna perché si cibavano di frutta matura (ciliegie, pesche, uva). Il sistema per difendersi era molto semplice. Mio babbo costruiva con la paglia dei bellissimi ‘’baldon’’ (pupazzi a grandezza naturale). Li vestiva con vecchie giacche e cappelli. Sembravano uomini veri e di solito i passerotti si tenevano alla larga. Infine un ricordo personale. Avevamo una bellissima cagnolina di nome Lilla che aveva circa cinque anni (la mia età). Era il gioiello della famiglia. Accompagnava mia mamma nei campi ed allontanava le piccole bisce delle quali la mamma era terrorizzata. Quando andavo a prendere l’acqua alla fontana pubblica con l’asina Nita, lei con agilità saltava sul ‘’baruzen’’ (piccolo calesse) e mi faceva compagnia badando l’animale quando io mi allontanavo per percorrere il piccolo viottolo sterrato con i secchi di ferro. Quando mio babbo faceva un fischio lei accorreva prontamente. Non sempre mi ubbidiva perché a volte le facevo i dispetti. Durante i pasti stazionava pazientemente con il gatto sotto il tavolo e con il muso rivolto all’insù. Gradiva i rimasugli di carne, io per scherzare le davo pezzetti di pane. Lei non gradiva ma faceva finta di masticare ed aspettava fiduciosa le cose migliori. Un bel giorno si ammalò. Chiamammo il veterinario che era molto amico degli animali. Venne quattro volte in un mese. Ogni volta le praticava delle iniezioni e le dava una caramellina. La Lilla era paziente, anzi ogni volta gli faceva festa perché sapeva che poi stava meglio. Una mattina la cercammo ma la cagnolina non rispondeva. Si era rifugiata sotto una botte proprio in fondo alla cantina e ci guardava con occhi fissi ed immobile. Le demmo una ciotola di latte, lei scodinzolò appena la coda e leccò il liquido appena appena. Il veterinario interpellato al telefono pubblico della bidella Maddalena ci disse di lasciarla stare in pace. In quell’occasione tutti in famiglia avevamo gli occhi lucidi. Termino perché sono stato lungo. Come avrete notato ho parlato di cantina senza fare cenno a vino, botti, damigiane.
Nessun commento:
Posta un commento