L’inizio della storia del teatro occidentale non fu felice per le donne: prive di diritti politici e segregate nei ginecei, le donne greche non solo non potevano recitare (i ruoli femminili erano interpretati da uomini), ma non è nemmeno certo che avessero il permesso di assistere alle rappresentazioni.
Un solo documento riporta una testimonianza di pubblico misto: Ateneo racconta che Alcibiade si vestiva di rosso porpora quando rivestiva il ruolo di corego, sbalordendo sia gli uomini sia le donne. Si narra inoltre che, alla rappresentazione delle Eumenidi, l’entrata in scena di esseri mostruosi avrebbe fatto morire dei bambini e abortire delle gestanti. Nelle Rane di Aristofane inoltre Eschilo accusò Euripide di aver indotto ad uccidersi bevendo la cicuta delle donne per bene, che si sentirono colpevolizzate da tragedie come Bellerofronte.
Nonostante l’assenza di donne in platea, in metà dei titoli delle tragedie greche compaiono nomi femminili. Pur essendo estranee alla vita cittadina, nella letteratura le donne erano spesso protagoniste, infatti scatenavano guerre come la bella Elena, sfidavano i sovrani come l’eroica Antigone o si ribellavano ai mariti come la sventurata Medea.
Nella Repubblica, Platone condanna l’interpretazione di ruoli femminili da parte di uomini, sostenendo che, coloro che recitano personaggi immorali o psicologicamente deboli come una donna che si dispera per amore, acquisiscono le loro caratteristiche nella vita reale. Tale affermazione sarà poi ripresa dai puritani nell’Inghilterra del XVII secolo.
La passione e il dolore femminile era diventata nel teatro greco un modello per la passione e il dolore degli uomini: i personaggi femminili, considerati più emotivi di quelli maschili, venivano utilizzati dagli uomini per esplorare stati psicologici che, secondo la società dell’epoca, erano loro preclusi.
Medea
Il teatro latino, meno legato a valori civili e religiosi rispetto al teatro greco, era un occasione di divertimento per tutti gli strati sociali, comprese le donne, che potevano assistere alle rappresentazioni.
Le donne avevano la possibilità di calcare il palcoscenico nei mimi, durante i quali recitavano, cantavano e ballavano. Il mimo era uno spettacolo senza trama, in cui veniva imitata la vita quotidiana nei suoi aspetti più grotteschi a suon di musica. Ben presto la presenza femminile sul palco degenerò nell’esibizione del nudo (nudatio mimarum).
Ai tempi di Cesare, Decimo Laberio e Publilio Siro fecero assurgere questo genere a dignità letteraria. Alcuni parlarono del carattere corruttore del teatro per donne: Ovidio infatti racconta che a teatro le donne si affollavano per “vedere e farsi vedere”, offrendosi alle tresche amorose, Giovenale invece nelle Satire scrisse che le fanciulle andavano in estasi per mimi e danzatori, compravano i favori sessuali dei comici e, quando i teatri sono chiusi, si improvvisavano attrici.
Nell’Impero Romano d’Oriente le donne potevano intraprendere la carriera della recitazione, come fece l’imperatrice Teodora prima di sposare Giustiniano, ma spesso tale attività era considerata alla stregua della prostituzione. Le attrici sarebbero state giudicate delle donne di malaffare per molti secoli a venire, sino all’Ottocento.
Nel Medioevo il teatro venne bandito dalla Chiesa e, nelle rare rappresentazioni di carattere in prevalenza religioso, i ruoli femminili erano ancora interpretati da uomini. In quest’epoca sfortunata per il teatro visse la prima drammaturga donna: la badessa Rosvita (935-973 d.C.), che scrisse sei opere ispirandosi a Terenzio, i vangeli apocrifi e le agiografie. In una lettera di presentazione del suo lavoro destinata agli intellettuali di corte, Rosvita rivelò di scrivere drammi ispirandosi a Terenzio per il successo riscosso dall’autore pagano, ma trattando contenuti cristiani. Nei suoi drammi le donne rivestivano un ruolo centrale e positivo e la fragilità femminile veniva rappresentata nell’atto di vincere la forza maschile grazie alla fede. Si tratta di uno dei rari casi di riscatto dalla mentalità misogina medioevale. La sua opera, destinata alla lettura ad alta voce, conobbe poca fortuna nel Medioevo ma fu riscoperta nel periodo umanistico.
Nel 1468 a Metz si verificò uno dei pochi episodi documentati di attrici in scena nel Medioevo e fu uno straordinario successo: un gentiluomo chiese persino in sposa la fanciulla che interpretava Santa Caterina. Tali episodi si verificarono per lo più nel tardo Medioevo.
All’inizio del XVI secolo vennero riscoperti i drammi antichi e le loro eroine, spesso rivisitati in chiave moderna. All’incunabolo della tragedia fiorentina del Trissino di Sifonisba, exemplum perfetto di virtù muliebre e di protagonista tragica, si ispireranno molte figure femminili successive. Dotata di onestà, forza e determinazione, Sifonisba è una sovrana con molte qualità allora considerate maschili. E’ una donna protagonista dell’azione, considerata sia vittima sia colpevole e dotata di una psicologia complessa e nuova.
Comparvero in questo periodo nuovi personaggi, che interloquiscono con le protagoniste fungendo da cassa di risonanza dei loro sentimenti: sono le nutrici, apparse per la prima volta nelle tragedie di Seneca, le balie e le mezzane. Ritorna inoltre sulla scena il coro, quasi sempre composto da figure femminili.
A Firenze, tra il 1515 e il 1530, vennero rappresentati i drammi di Giovanni Ruccellai, Alessandro Pazzi de’Medici e Ludovico Martelli; le loro opere avevano attinto agli exempla medioevali e alla storia longobarda, a Virgilio e a Livio. Le nuove protagoniste femminili erano trasgressive nel tentativo di affermare la propria individualità, infatti ingannano, disobbediscono, tradiscono e talvolta uccidono.
Con la Controriforma la donna venne ricondotta all’interno dello schema vergine-moglie-vedova, pertanto ritornò a rivestire ruoli più tradizionali, che spesso coincidevano con quello di vittima della violenza maschile.
Con la Commedia dell’Arte le donne calcarono per la prima volta il palcoscenico, anche se in qualità di “meretrici oneste” (come abbiamo già detto, le attrici erano considerate donne di facili costumi. Il Concilio di Trento le condannò come ciò che rende il teatro l’instrumentum diabuli), e poterono dedicarsi alla recitazione, alla musica e al canto in pubblico. Nel Rinascimento scrissero dei drammi alcune famose cortigiane, ma solo nella Commedia dell’Arte poterono scrivere i canovacci e addirittura diventare capocomiche di professione.
Mentre in Francia e Italia le donne iniziavano conquistare il palcoscenico, in Inghilterra la prima attrice recitò nel 1660. Si trattava di Margaret Hughes, che interpretò Desdemona nell’Otello. Ai tempi di Shakespeare invece le parti femminili erano affidate ai ragazzini, apprendisti quasi sempre figli d’arte, che compivano il loro tirocinio sotto la guida di attori più anziani. L’assenza di donne nelle compagnie teatrali era dettata da motivi pratici: senza attrici nel gruppo, gli attori potevano spostarsi più rapidamente e economicamente, alloggiando tutti insieme negli stanzoni delle locande.
Le lady delle tragedie di Shakespeare sono personaggi a tutto tondo, senza gli stereotipi o la staticità delle maschere; la natura della donna è espressa in tutta la sua profondità e le sue contraddizioni.
La Locandiera
Nel Settecento i ruoli femminili diventarono il perno dell’azione scenica e Goldoni fu il primo grande ritrattista del femminile nel teatro italiano. Con 51 commedie con titoli al femminile e numerose fanciulle anche nelle opere che hanno per protagonisti dei personaggi maschili, Goldoni creò donne moderne: civette, schiette, furbe, generose, bugiarde, interessate, fedeli, spregiudicate, innamorate, lavoratrici, sofferenti … Il suo personaggio più celebre è Mirandolina, la protagonista de La locandiera.
L’Ottocento è il secolo delle grandi attrici, quasi tutte figlie d’arte: l’eclettica Anna Fiorilli Pellandi, Carlotta Marchionni che, siccome sottostava a un rigido stile di vita di moralità e perbenismo e rectando come un angelo, venne definita il “perfetto ideale della femmina italiana” e Amalia Bettini, apprezzata da Pellico, Tommaseo, Niccolini e Belli. In questo periodo era in voga la donna angelicata e Adelaide Ristori era l’emblema di tale ideale, anche perché era conosciuta in tutto il mondo come patriota italiana e sostenitrice del progresso.
Dopo l’unità d’Italia si verificò un’ondata di rifiuto del perbenismo degli anni precedenti ed è proprio in questo periodo che diventarono famose Fanny Sadowsky e Clementina Cazzola. La Sadowsky non era figlia d’arte e diventò rivale di Adelaide Ristori lavorando in un celebre teatro di Napoli; la Cazzola invece raggiunse la fama grazie al suo sguardo magnetico e le sue amicizie con intellettuali e critici di spicco. Giacinta Pezzana era invece una famosa attrice del teatro dialettale.
A cavallo trail XIX e il XX secolo il teatro era il principale mezzo mediatico e, presentando un’immagine di donna lontane da quelle canoniche attraverso la presenza di attrici acculturate, lavoratrici e indipendenti, ha contribuito all’emancipazione della donna.
La più grande attrice dell’epoca era senza dubbio Eleonora Duse, che divenne celebre in tutto il mondo occidentale. L’artista conobbe personalmente e interpretò opere di Giovanni Verga e Gabriele D’Annunzio, inoltre introdusse Ibsen nei teatri italiani con la sua magistrale interpretazione di Nora in Casa di Bambola. La Duse contribuì a modificare la situazione delle giovani attrici a partire dalla mentalità e dall’educazione fondando la Libreria delle Attrici, che purtroppo fallì dopo pochi mesi. Per tutta la sua vita Eleonora Duse fu circondata da intime amicizie femminili ed ebbe una relazione omosessuale con Cordula Lina Poletti, una famosa poetessa femminista. Anche la Duse partecipò ai congressi femministi e prese parte al movimento.
Nello stesso periodo Italia Vitaliani, cugina della Duse, era una delle attrici italiane più importanti. Tra le due si instaurò una rivalità sottile e silenziosa in cui vinse la Duse grazie al suo carisma (anche se per molti era preferibile Italia). Nel 1892 Italia divenne uno dei primi capocomici donne in Italia ed esercitò talmente bene le sue mansioni da essere considerata un “perfetto gentiluomo”.
Eleonora Duse
Pirandello venne definito da Sciascia un autore femminista: “Non si può dire che sfugga al pregiudizio della ‘donna madre’, della ‘donna istinto’ della sacertà della donna in quanto portatrice e custodia di vita. E quando esce dal mito e guarda la donna dentro la società, dentro la famiglia, vittima appunto di quel pregiudizio antico cui altri ne ha aggiunto l’infima borghesia (e quella siciliana in particolare) che Pirandello diventa, come oggi si direbbe, uno scrittore ‘femminista’ e possiamo anche dire il più femminista che la letteratura italiana annoveri”.
Nel 1925 Pirandello incontrò Marta Abba che diventò la sua musa ispiratrice, infatti scrisse per lei diverse opere e le fece da guida nel campo della recitazione. Lo stile di recitazione della Abba venne definito da lei stessa “moderno”, perché era caratterizzato da molta foga e scarso controllo.
Il XX secolo fu caratterizzato da drammaturghi prevalentemente maschili, anche se le donne erano ormai in scena come attrici e registe. Nel secondo Dopoguerra si assistette ad un generale risveglio culturale: le prime autrici furono Natalia Ginzburg, Alba De Cespedes e Dacia Mariani, che fondarono il Teatro della Maddalena per portare in scena le battaglie sociali delle donne. Si trattava tuttavia di tentativi sperimentali, che negli anni Ottanta dettero finalmente risultati anche a livello nazionale. Nel 1991 nasce il Teatro delle donne, che propone un teatro interamente realizzato da donne. A causa della mancanza di una tradizione teatrale femminile, la produzione teatrale delle donne continua ad essere ancora oggi piuttosto sconosciuta; si spera in un futuro miglioramento della situazione.
Articolo scritto per “Avventure da palcoscenico”, pubblicata nella rivista online “Eclettica – La voce dei blogger” N. 9
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