giovedì 16 febbraio 2017

I BURATTINI di Fiorenzo Barzanti


‘’Ciapa, ciapa, a ta maz ad boti’’ (prendi, prendi, ti ammazzo di botte). Era Fagiolino che picchiava con il suo bastone nodoso il povero Pulcinella fino a farlo sparire sotto la tenda del sipario. Noi bambini ridevamo in modo scomposto saltellando sulle panche. Io, per spirito di emulazione, diedi un piccolo scappellotto al mio vicino che si chiamava Giorgio ed era il figlio del contadino soprannominato Varen. Si spostò e mi disse: ‘’me am spost che te ci mat’’ (io mi sposto che tu sei matto). Avete presente quando i bambini sono molto contenti? Ridono, saltellano, fingono di ripetere quello che vedono e tutto il loro corpo esprime la gioia. Signore e signori state assistendo allo spettacolo più bello del mondo: i burattini. C’erano Arlecchino, Brighella, Fagiolino, Pantalone, Pulcinella, Sandrone e la mitica Colombina dagli occhi dolci. Ogni maschera interpretava i sentimenti di noi comuni mortali: la gioia, l’avarizia, la tirchieria, la furbizia, la bontà, la cattiveria, l’amore. Ma andiamo con ordine. Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel pesino sulle colline romagnole di Cesena ed abitato in gran parte da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di quelle ed io ero un bambino che frequentavo la seconda elementare. La mia scuola era bellissima, si trovava sulla strada principale a 100 metri dalla chiesa ed a 50 metri da casa mia. All’ingresso c’era un grande cortile. Nel primo lato c’erano tre gabinetti ovviamente senz’acqua corrente, uno per i bambini, uno per le bambine ed uno per le maestre. Non c’era la carta igienica ma fogli di Grand’Hotel che leggevano le figlie della bidella. C’era pure la legnaia per alimentare la stufa di terracotta in aula durante i mesi invernali. Nell’altro lato c’erano il pollaio e la conigliera della bidella Maddalena. C’era quindi una grande scalinata che si divideva in due. Una portava in casa della bidella Maddalena che viveva con il marito Ivo e le tre figlie. L’altra portava alle due aule, in una si faceva lezione alla prima ed alla seconda. Nell’altra, alla terza, quarta e quinta elementare. La cucina della bidella comunicava con una delle due aule e noi bambini nell’intervallo andavamo a bere nel secchio di acqua potabile appeso sulla ‘’scafa’’ (lavandino). Non si doveva sciupare l’acqua perché la brava Maddalena l’andava a prendere alla fontana pubblica che distava circa un chilometro. In estate la sorgente si prosciugava ed allora occorreva andare dai contadini che avevano il pozzo. Ma ritorniamo a noi. Durante l’anno scolastico c’erano due momenti che noi bambini aspettavamo con impazienza ed erano l’inizio di febbraio e l’inizio di giugno. Era lo spettacolo dei burattini. In quei due giorni avevamo lezione fino alle 10,30 e poi tutti nel grande cortile ad assistere allo spettacolo. Era severamente proibito assistere all’allestimento anche se, diremmo oggi, era ‘’il segreto di Pulcinella. Era bello per noi bambini fare finta di non sapere. Quella mattina la maestra ci diceva: se qualcuno ha bisogno di andare al gabinetto ci vada ora perché fino alle 10,30 non si può scendere in cortile. Inevitabilmente un mio amico molto curioso faceva finta di avere mal di pancia verso le dieci ed al ritorno ci raccontava sottovoce quello che stava accadendo. La nostra impazienza aumentava. Aurelio il burattinaio era arrivato da Cesena di buon’ora con il suo asino. Il ‘’baruzen’’ (piccolo biroccio) era coperto con un grande telo rosso. Nessuno doveva vedere cosa c’era sotto. Era un omone grande e grosso con due enormi baffi. La testa era completamente pelata a parte un ciuffo di capelli sulle tempie. Aveva denti radi che gli donavano un’espressione continuamente sorridente. A noi bambini sarebbe stato simpatico anche se fosse stato burbero perché per noi lui era quello che ‘’faceva’’ ciò che a noi piaceva. Dunque, mentre noi eravamo in classe lui preparava lo spettacolo. Una grande tenda rossa alta circa 2 metri era l’inizio del palco. Una seconda tenda verde più in alto creava una grande finestra con la prima. Due tende laterali azzurre servivano per chiudere ed aprire manualmente il sipario. Sullo sfondo un grande cartellone con i disegni di pupazzi. Aurelio era nascosto dietro la tenda ed ufficialmente non c’era. Con grande maestria infilava le mani dentro i burattini e li faceva muovere con grande agilità. La voce era la sua ma la tonalità cambiava a seconda del burattino che teneva la scena in quel momento. La lingua parlata dai burattini aveva l’accento legato all’origine di ciascuno ma molte frasi venivano pronunciate in dialetto romagnolo. Insomma Aurelio era un vero artista, trasportava, allestiva, faceva lo spettacolo, disfaceva il teatro ambulante e ripartiva. Alle alle 10,30 eravamo tutti nel cortile seduti su panche e vecchie sedie. Il momento più bello era l’attesa. Perché lo spettacolo non iniziava subito e ciò era voluto. Finalmente si sentiva una campanella. Ogni burattino si presentava, come si chiamava, da dove proveniva e nello stesso tempo faceva le movenze che avremmo visto successivamente. Gli spettatori non eravamo solo noi bambini, all’incirca 15, ma anche atri che non andavano ancora a scuola e quelli che avevano finito la scuola da poco. C’erano anche diversi adulti e molti nostri genitori. Sia chiaro, si pagava il biglietto, 10 lire a testa. Fra gli spettatori adulti c’era la famosa Fafina così chiamata perché era la moglie del contadino Fafin. Faceva delle ‘’gran sbacaredi’’ (grandi risate). Era famosa in paese perché era una piccola imbrogliona. Molte donne nei giorni di mercato, mercoledì e sabato, si recavano nel mercato coperto della piazza del Popolo a Cesena. Si accovacciavano lunga la grande scalinata e vendevano un galletto, un coniglio, una dozzina di uova. I clienti sapevano di acquistare animali ruspanti ed allevati allo stato brado e così era in molti casi. A quel tempo iniziarono a fare la comparsa in campagna i primi polli allevati in gabbia ed alimentati a mangime a base di pesce. Quando si mangiavano sapevano di pesce. Cosa faceva la Fafina? Acquistava alcuni pollastri allevati a mangime. Li alimentava per 15 giorni con il granoturco così le zampe diventavano gialle e sembravano allevati a terra. Li vendeva al mercato come polli ruspanti e, non ci crederete, aveva un certo successo. Quell’anno Aurelio, terminato lo spettacolo, si fermò a casa mia perché era amico di mio babbo. Mia mamma fece due piadine, mio babbo affettò un salame e con un fiasco di sangiovese in tavola chiacchierarono fino alle quattro del pomeriggio. Alla fine ci fu un regalo per me. Aurelio sollevò il drappo rosso che copriva il fantastico carico, estrasse un burattino e me lo fece provare. Io non riuscivo a muoverlo con la mia mano allora lui ne prese un altro ed infilò la sua di mano. Sembrava vero. Che emozione!!

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