Una volta, c'era la banana: non il frutto amato dai bambini, bensì l'acconciatura arrotolata che proprio i bimbi subivano e detestavano ma che veniva considerata imprescindibile dai loro genitori. I quali, per bere un buon espresso, dovevano entrare al bar e chiedere un "caffè caffè", altrimenti si sarebbero trovati a sorbire un caffè d'orzo. Una volta, per scrivere, non c'erano sms o e-mail, ma si doveva dichiarare guerra ai pennini e uscire da scuola imbrattati d'inchiostro da capo a piedi. Una volta, si poteva andare dal tabacchino, comprare una sigaretta - una sola - e fumarsela dove meglio pareva: non c'erano divieti, e i non fumatori erano una gran brutta razza. Una volta, i bambini non cambiavano guardaroba a ogni stagione, andavano in giro con le braghe corte anche d'inverno e - per assurdo contrappasso - col costume di lana d'estate. Una volta, la Playstation non c'era, si giocava tutto il giorno per strada e forse ci si divertiva anche di più. Una volta, al cinema pioveva... Con un poco di nostalgia, ma soprattutto con la poesia e l'ironia della sua prosa, Francesco Guccini posa il suo sguardo sornione su oggetti, situazioni, emozioni di un passato che è di ciascuno di noi, ma che rischia di andare perduto, sepolto nella soffitta del tempo insieme al telefono di bachelite e alla pompetta del Flit. Un viaggio nella vita di ieri che si legge come un romanzo: per scoprire che l'archeologia "vicina" di noi stessi ci commuove, ci diverte, parla di come siamo diventati.
C’era una volta….potrebbe benissimo essere l’incipit dell’ultima fatica letteraria di Francesco Guccini. Già guardando la copertina si viene risucchiati in un mondo oramai passato. La scelta dell’immagine (un antico galeone che naviga dal passato verso il futuro?) e dei colori ci ricordano i vecchi libri dell’infanzia (ad esempio la prima edizione del mitico Giornalino di Gian Burrasca) oltre, naturalmente per i coetanei dell’Autore, il più conosciuto pacchetto delle “mitiche” sigarette Nazionali Esportazioni senza filtro.
Ma il Dizionario delle Cose Perdute non è un libro di ricordi. E’ il percorso di crescita di un bambino che si affaccia al mondo scoprendo, in un’Italia post guerra, nuove cose: “quando gli americani arrivarono in Italia…portarono un mucchio di altre cose da noi allora sconosciute…..caramelle americane?…via lesti in bocca. Però, mastica, mastica, quella caramella perdeva sapore e non si scioglieva, e fu quindi rapidamente inghiottita. Avevamo fatto conoscenza con la gomma da masticare .”
Un ragazzino che osserva il mondo cambiare intorno a lui e incappa in situazioni destinate a non ripetersi più: ad esempio gli ultimi cantastorie, le variazioni di colore del taxi, la figura del postino che tutti conoscono e che tutti conosce.
Infine il fanciullino arriva alla soglia dell’età adulta: “da lì a qualche anno ci sarebbe stato qualcosa di davvero tosto da imparare, difficili arti di cui impadronirsi, che dovevano trasformare il frivolo fanciullino in un verace adulto, in un uomo vero……imparare a fumare e imparare a ballare.”
La prosa del Poeta Guccini ci trasporta in un mondo perduto fatto di piccoli oggetti e abitudini; si susseguono quindi in un elenco - segnato dall’ironia, dalla leggerezza nel senso ‘calviniano’ del termine, dall’amarezza che accompagna ogni perdita materiale - oggetti, personaggi e situazioni che inesorabilmente si perdono nelle pieghe del passato.
Una volta adulto il fanciullino, con una punta di amarezza, si confronta con il concetto di pseudo-modernità imperante (il telefonino, le varietà di caffè, il multisala) e proprio sul cinema emerge forte la sua verità: “Certo, oggi è più comodo, hai il posto sicuro, l’aria è più salubre, la sala è più pulita…..manca però quel senso di Selvaggio West che c’era nei cinema di una volta”.
E forse, parafrasando Guccini stesso, il cinema/la vita di oggi ha acquisito sicuramente delle comodità, ma altrettanto sicuramente è priva di quel concetto del West che la rende più Selvaggia di quello che era una volta.
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