"Un giudice aveva una bilancia meravigliosa, grazie alla quale rendeva giustizia meglio di chiunque altro giudice"... inizia così questa antica favola araba...
C’era una volta, in una piccola città dell’Arabia, un giudice che aveva una bilancia meravigliosa, grazie alla quale rendeva giustizia meglio di chiunque altro giudice.
Un giorno che il giudice, come al solito, si preparava sulla piazza del mercato a fare il suo nobile mestiere, un giovane si fermò accanto a lui, distese per terra una stuoia e dispose davanti a sé una bilancia uguale a quella del giudice.
Poi si sedette a gambe incrociate e rimase in silenzio.
Il primo cliente del giudice fu proprio il suo giardiniere, il quale era venuto a lamentarsi della sua paga.
Il giudice pesò scrupolosamente: da una parte il lavoro del giardiniere e dall’altra le monete che gli dava per pagarlo.
I due piatti erano alla pari.
Quando il giardiniere stava per andarsene, il giovane lo fermò.
Col permesso del giudice, vorrei pesare anch’io.
Il giudice capì che il giovane voleva provare la sua bilancia e fece segno di si con la testa, sicuro che la sua pesata era stata giusta.
Allora il giovane forestiero mise su un piatto la paga del giardiniere e sull’altro la moglie e i tre figlioletti che egli doveva mantenere; il piatto con le monete era più leggero.
Ecco! – disse il giovane.
Mise altre monete sul piatto e l’equilibrio fu perfetto.
Diede il salario aumentato al giardiniere che se ne andò contento.
Che mi sia sbagliato? – pensò il giudice stupefatto.
Ma non aveva ancora avuto il tempo di riflettere sopra quanto era avvenuto che gli si presentarono davanti un padrone col suo schiavo.
Lo schiavo aveva le braccia imprigionate da catene; il padrone portava una grossa benda sull’occhio sinistro.
Eccomi qui, davanti a te, per chiedere giustizia.
Non ho voluto castigare io stesso il mio schiavo.
Mi rimetto alla tua sentenza!
Hai fatto bene.
Il castigo che viene dal giudice è giustizia; quello che viene dall’offeso è vendetta.
Il padrone espose il suo caso:
Questo schiavo mi ha disubbidito e si è ribellato.
E, quando ho voluto punirlo, mi si è gettato addosso con violenza e mi ha rovinato un occhio.
Occhio per occhio… – stava per dire il giudice, ma si fermò guardando il giovane forestiero.
Pesa pure – disse il giovane – io peserò dopo.
Allora il giudice pose su un piatto l’occhio rovinato del padrone e nell’altro l’occhio che fra poco si doveva strappare allo schiavo.
Tante volte aveva fatto questa pesata e anche questa volta la pesata fu giusta.
Ma un dubbio lo tormentava.
Pesa tu! – disse al giovane.
Il forestiero mise in un piatto il crudele castigo e nell’altro tutta la miserabile vita dello schiavo, il cattivo trattamento ricevuto, le giornate di lavoro senza paga e il piatto del castigo risultò troppo pesante.
Vedi? – fece il forestiero.
Tornate fra otto giorni! – disse il giudice ai due – e nel frattempo slegalo e dagli da mangiare!
Il vecchio giudice capì allora che la sua bilancia non era più giusta, che il giovane era stato mandato da Dio per sostituirlo e che l’ora della sua morte era vicina.
Tu sarai il nuovo giudice – gli disse – Tu farai delle pesate più giuste!
Prometti di non dimenticarmi.
Ho fatto quello che ho potuto.
Te lo prometto! – rispose il giovane – Anche per me verrà il giorno in cui qualcuno verrà a dirmi che cosa devo mettere sui piatti della bilancia.
Addio! – disse il vecchio giudice e, chinata la testa sul piatto, tirò un profondo sospiro: era morto.
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