Io questa giornata la odio.
Me ne scordo ogni volta, non ci faccio caso; e lei arriva tra capo e collo, sorprendendomi come se fosse imprevedibile, come un temporale. D’altra parte, come prevederla? E’ solo una convenzione: una data nel bel mezzo dell’inverno, senza radici astronomiche o naturali, a dieci giorni dal solstizio, con una luna mai uguale; frutto di decine di cambiamenti del calendario, diversa nel mondo secondo le religioni praticate, compressa tra il Natale e l’Epifania. E poi, diciamoci la verità: per tutti l’anno incomincia dopo l’estate, con l’apertura delle scuole e l’inizio del campionato di calcio, no?
Invece, eccovi tutti là, a correre frenetici per negozi alla ricerca dell’ultima bottiglia di bollicine, dell’ultimo pandoro, dell’ultimo gamberetto; o al telefono con l’elenco in mano, a supplicare ristoratori intransigenti per ottenere quattro posti a centocinquanta euro l’uno per mangiare una cena normale allietata, si fa per dire, dai gorgheggi di un neomelodico. E a scambiare auguri commossi negli uffici, come se non vi doveste rivedere lunedì, ché stavolta l’esecrabile festività capita pure squallidamente in un week end, nemmeno un’ora di lavoro in meno.
E sarebbe ancora niente. Per carità, ognuno è libero di buttare i propri soldi e il proprio tempo come vuole: come si dice, la libertà è la prima cosa. Ma poi, purtroppo, c’è anche la tradizione.
Maledetta tradizione.
Lungi da me non apprezzare la tradizione, sia chiaro; soprattutto quella alimentare, ci sono dei bocconcini meravigliosi che riportano il sapore di un passato fatto di mani affettuose che lavoravano con amore in cucina per ore, in cambio del sorriso soddisfatto dei familiari. Purtroppo però la tradizione di questa città impone un’usanza, per questa maledetta e cosiddetta festa, che è terribile: la convinzione assurda che l’anno nuovo debba essere accolto come l’invasione di un esercito nemico.
Le bombe cominciano subito dopo Natale.
Arrivano violente e inaspettate anche in piena notte, e chi come me ha un udito finissimo salta in pieno sonno, il cuore in gola, rassegnato a una fine atroce. Da allora in poi i botti si intensificano, sempre più frequenti, sempre più violenti, come se la guerra si avvicinasse; e ogni volta è peggio. Ho sentito al telegiornale che i più forti, oltre a distruggere completamente l’appartamento in cui dovessero scoppiare accidentalmente, possono addirittura causare la caduta dello stabile; ma come fa la gente a portarseli in casa? Oltretutto costano un sacco di soldi, e tutti si lamentano della crisi.
Perciò lo odio, il maledetto capodanno. Una guerra con molte inutili ferite, un’allegria incivile fatta di bombe e spari, in tanti a iniziare l’anno in ospedale con segni sul corpo che gli ricorderanno per sempre la loro stupidità.
Vorrei dirgli che ci sono tradizioni che è meglio abbandonare, e che si può essere allegri e felici senza farsi del male. Vorrei, ma non posso: nessuno mi ascolterebbe. E allora devo rassegnarmi ancora una volta a terrorizzarmi a morte, sperando che il cuore non mi si spacchi in petto per la paura. Piangendo disperato.
E in mezzo a tutto quel rumore, nessuno sentirà le mie urla. In fondo, sono solo il cane di casa.
Maurizio de Giovanni
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