giovedì 18 gennaio 2018

L’angusta gabbia dell’ipocrisia.


«Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto 
della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.»
Luigi Pirandello


È sempre stato difficile, in un mondo dominato dall’ipocrisia, in cui la stessa storia è sempre scaduta in una cronaca asettica di una quotidianità avvilente in cui i confini tra il bene e il male sono stati per lo più labili e in mano alla moda del momento, parlare di un problema che ha sempre afflitto l’uomo, o meglio, quei pochi esseri umani che si sentono soffocare da un vizio appartenente alla sola specie umana e al quale spesso ci si rassegna oppure si sfugge cercando la solitudine o la compagnia di quella sparuta minoranza di persone che ne è esente.

Dell’ipocrisia (dal greco ὑποκρίνομαι «fingere», Ypòkrisis era l’attore e l’ ipocrisia indicava la finzione dello spettacolo teatrale) si parla molto poco, forse ancora oggi è un argomento tabù perché molte sono le persone che dicono di detestarla, pur praticandola dalla mattina alla sera.

Si respira ovunque.

Ma se ne parla poco.

Apparentemente molto; non è raro sentire persone affermare con ostentato orgoglio di non essere ipocrite.

Facebook, il contenitore di links volti ad esaltare anche il più bieco degli esseri umani con pensieri preconfezionati in cui tutti vogliono apparire sinceri e si vantano di avere molti nemici proprio per la loro presunta diversità e l’avversione alla falsità, ne è un esempio.

Pirandello avrebbe avuto molto materiale a disposizione, oggi più di ieri, per parlare di maschere ed ipocrisie; gli sarebbe bastato scorrere la sua home per poter scrivere trattati infiniti su quei travestimenti indossati volutamente dagli esseri umani per crearsi volontariamente delle prigioni. Come se non bastassero tutte le altre gabbie da noi ideate per rendere la vita ancora più difficile di quella che è.

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