lunedì 1 gennaio 2018

Il Capodanno nel mondo antico e nel mondo contadino ...


Per i romani era Giano che presiedeva ai due solstizi ed il suo essere bifronte è stato collegato da alcuni autori al fatto di aver posto, da parte del cristianesimo, due santi dal nome uguale di Giovanni in prossimità dei solstizi. I romani invitavano a pranzo gli amici e offrivano loro miele e fichi affinché l’inizio d’anno fosse dolce… Si regalavano anche ramoscelli d’alloro detti strenae come augurio di fortuna e felicità. L’usanza di questi doni augurali è giunta fino a noi ed a Napoli si offrono ancora fichi secchi avvolti in foglie d’alloro. 

Nel sud dell’Italia esisteva una fiorente industria di fichi secchi ed essi costituivano un ottimo companatico. 

Abbiamo già dato il significato e la storia del vocabolo “Strenna”, antenata del regalo natalizio, anticipato a Natale ed anche prima (San Nicola e Santa Lucia). La strenna ha assunto pure il significato di “mancia” in denaro. 

Un tempo, i bambini il primo di gennaio andavamo di casa in casa a reclamare la “mancia”, in dialetto mantovano “la bona man”, che veniva elargita dopo la recita di una strofetta che diceva: “Boni festi dal bon cap ad l’an, ca scampeghi sent’an e sent dì, la bona man l’am vegn a mi”, che, un po’ liberamente tradotta, significa: 

“Buone feste di capodanno, che campiate cento anni e cento giorni, ma datemi i soldi”. Alla fine chi si era affacciato all’uscio distribuiva una monetina a ciascun bambino, si trattava di una lira od al massimo due, le cinque lire era un evento molto raro, solo i parenti più prossimi potevano darle. Ricevere dieci lire era qualcosa di straordinario.

Il primo giorno dell’anno aveva le sue regole e tra queste alcune potevano incidere sulla sorte: guai a vedere come prima persona una donna, portava sfortuna, l’uomo invece era neutro o apportatore d’evento fortunato. Il primo dell’anno, quindi, le donne non facevano mai visita alle case dei vicini. Meglio era se s’incontrava un ricco che un povero, incontrare vecchi, medici e preti portava male perché avevano a che fare con la morte. Rompere una suppellettile portava bene, infatti, persiste l’abitudine nel Centro e nel Sud dell’Italia di lanciare oggetti vecchi dalla finestra. 

Le ragazze da marito, da sempre in cerca di presagi circa il futuro sposo, osservavano le faville del focolare: se salivano verso l’alto velocemente e verticalmente erano segni di un probabile sposalizio entro l’anno. Anche il lancio della ciabatta all’indietro verso l’uscio di casa voleva sondare le probabilità di matrimonio: se nella caduta la punta della calzatura risultava rivolta verso la porta, significava che si sarebbe usciti presto dalla casa per sposarsi, il contrario se la punta era rivolta verso l’interno della casa.

In questo giorno nelle case contadine era d’uso fare le “Calendre”, cioè il tempo meteorologico riscontrato in particolari giorni si estendeva come previsione per ogni mese dell’anno. Si tratta di una pratica molto antica, già in uso nei primi secoli d.C. Ne è attestata l’esecuzione nel mondo bizantino nel X sec. Il modo di operare aveva le sue varianti a secondo del luogo, ma grosso modo si sceglievano i primi dodici giorni di gennaio che nell’ordine erano collegati coi mesi dell’anno. Il tempo meteorologico osservato in ognuno dei dodici giorni avrebbe caratterizzato il mese collegato. Spesso si faceva anche la riprova con le “Scalendre”. I giorni presi in considerazione erano quelli che andavano dal 13 al 24 gennaio, ma s’invertiva il collegamento tra il giorno ed il mese (il 13/1 era legato a Dicembre, mentre il 24/1 era legato a Gennaio). L’eventuale concordanza del tempo tra giorno-mese delle calendre e della scalendre era una conferma della previsione, se invece vi era discordanza, al mese corrispondente era assegnata variabilità. In altre contrade invece il tempo lo si desumeva deponendo ogni giorno sul davanzale esterno della finestra rivolta verso Occidente un guscio di noce contenente un granello di sale: la cosa era ripetuta per 12 o 24 giorni di seguito. Lo scioglimento o meno del sale significava rispettivamente cattivo o bel tempo del mese collegato. Nel caso di esecuzione delle calendre e successivamente delle scalendre si doveva arrivare al giorno 25 del mese di gennaio per avere il quadro generale della previsione. Per questo alcuni fanno derivare da qui la nomea data al santo di questo giorno (Conversione di San Paolo), che era comunemente chiamato “San Paolo dei segni”.

Contrariamente ad oggi, in cui il giorno di Capodanno è festivo per riposarsi dalla notte di san Silvestro, al tempo dei romani il primo giorno dell’anno era lavorativo. Nella cena di San Silvestro o nel giorno di Capodanno è ora d’uso mangiare le lenticchie, considerate un alimento propiziatorio della prosperità economica nel nuovo anno, lo stesso significato aveva il mangiare un acino d’uva, conservata apposta dalla vendemmia d’inizio autunno. 

La tradizione non è tramonatata, ma ora si ricorre all’acquisto. Le lenticchie non sempre hanno questo significato propiziatorio, per gli ebrei ad esempio sono segno di lutto in ricordo di Esaù che vendette la primogenitura per un piatto di lenticchie e anche per i romani esse erano legate al ciclo delle morti e delle rinascite; in Toscana di uno che muore si dice ancora che: “è andato per lenticchie”.

I fuochi d’artificio, i botti e le fiaccolate della notte di San Silvestro intendono salutare contemporaneamente l’anno vecchio morente e l’anno nuovo nascente. Sono pure essi un simbolismo solstiziale, cioè la rinascita del Sole-Anno è simboleggiato dai fuochi d’artificio e dalle fiaccolate, mentre i botti e gli scoppi, cioè il baccano, simboleggiano l’espulsione dell’anno vecchio. Si può dire che nella notte di san Silvestro si sono accumulate parte delle usanze dei Saturnali romani che, venendo a coincidere con il Natale cristiano, sono state man mano spostate a fine anno. 

Altre usanze, invece, come i cambiamenti di strato sociale o le mascherate sono stati spostati al Carnevale. La Chiesa è riuscita dunque a scrostare il periodo natalizio dalle manifestazioni pagane (le famose “dodici notti pagane” piene di riti propiziatori), ma non è riuscita nell’intento per quanto riguarda la notte di san Silvestro e della Befana o Comare Secca del sud Italia. Permangono, infatti, i travestimenti (la “vecia” da noi) la cacciata degli spiriti dei morti (i roghi o falò di questo periodo). Anche Giunone oltre a Giano presiedeva ai festeggiamenti pagani, era considerata la “Madre e regina celeste dei Romani”. 

A Giunone erano consacrate anche le calende d’ogni mese ed essa era simboleggiata dalla luna nuova, che nel vecchio calendario lunare segnava l’inizio d’ogni mese.

I modi utilizzati per fissare l’inizio dell’anno si chiamano “stili” e tra questi esamineremo i più importanti, vi è:
-lo stile della circoncisione col capodanno al primo gennaio. Questo uso cominciò con la riforma di Giulio Cesare, ma nel Medioevo fu sostituito da altre date coincidenti con importanti festività cristiane;
- lo stile veneto con capodanno al 1° marzo. Questa usanza risale addirittura al calendario romano ante-Giulio Cesare, ossia quando i mesi erano 10, ma rimase nelle abitudini religiose anche quando furono portati a dodici. Esso fu usato in particolare dalla Repubblica veneta fino al 1797.

- lo stile dell’Incarnazione con capodanno al 25 marzo (cioè esattamente nove mesi prima del Natale). Era detto anche stile fiorentino o pisano. Era usato a Firenze fino al 1749 ed a Roma fino al XVII sec.
- lo stile della Pasqua utilizzato in Francia. Questo stile comportava differenze nella lunghezza tra un anno e l’altro a causa della mobilità della festa di Pasqua (essa può oscillare infatti tra il 22 marzo ed il 25 aprile);

- lo stile bizantino con capodanno al 1° settembre, cioè l’anno iniziava quattro mesi prima e rimase a lungo in vigore a Bisanzio e fino al XVI sec. nell’Italia meridionale;
- lo stile della Natività con capodanno al 25 dicembre. Anticipava l’inizio dell’anno di sette giorni, era molto diffuso nel Medioevo nell’Italia settentrionale. Era utilizzato perfino dalla cancelleria pontificia e da certi cronisti medievali. A Milano fu in uso fino al 1797.

Nella foto il ceppo di Natale che doveva durare fino a San Silvestro, seppure con accensioni e spegnimenti giornalieri.

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