‘’ Zvanin u sé inviè ‘’ (Giovannino se n’è andato, è morto). ‘’ L’Idina la iè in chev e caudel’’ (La Idina è ammalata ed è arrivata quasi alla fine). A questo punto il gruppetto di persone che ascoltava cominciò a disperdersi ed il povero Dolfo rimase solo. Il primo ad allontanarsi fu Sergio dicendo ‘’me am toc i marun’’ (io mi tocco le parti basse per scaramanzia). Disse Ubaldo: ‘’Tul in te sac’’ (prendilo in quel posto) e fuggì precipitosamente. Chissà perché ma la scena si ripeteva sempre. Quando il contadino Dolfo incontrava amici, parenti o conoscenti non faceva altro che parlare solo di disgrazie e malattie quasi non avesse altri argomenti. Se ci fate caso anche oggi esiste almeno uno fra i vostri conoscenti che si comporta così e non vi rimane altro che evitarlo. Ora prego il regista di allargare la scena. Quel gruppetto di persone ormai dissolto era uno dei tanti che si trovavano in quel grande piazzale. Siamo all’inizio degli anni 60 e ci troviamo a Montenovo bel paesino sulle colline di Cesena che gode di una splendida vista sul mare. Per una volta sono in trasferta dalla mia San Tommaso. Ci troviamo esattamente nel castello di Montenovo dove c’è un ristorante. Stanno arrivando circa una cinquantina di persone, tutti parenti, per festeggiare con una ‘’mangiata’’ un grande evento. Sono undici dei 12 fratelli e sorelle (uno non c’è più). Hanno dai 40 ai 50 anni. Sono presenti ovviamente anche le mogli, i mariti ed i figli. Provengono da paesi diversi: da San Tommaso, da Casale, da Cesena, da Ravenna, una sorella addirittura da Milano. Quelli di Ravenna si sono trasferiti nel dopoguerra quando c’è stata la grande migrazione dei contadini dalle colline cesenati alle industrie ravennati. Quel luogo ha un significato particolare perché i loro genitori sono nati a Montenovo ed esattamente nella località ‘’Funtanaza’’ ed erano soprannominati ‘’Fideil’’. Una sorella è suora e missionaria in Africa ed ogni 5 anni torna in Italia per due mesi visitando i vari fratelli e sorelle. Per l’occasione è stata organizzato quel ritrovo nel castello di Montenovo per ricordare il luogo delle origini. Per altro, il ristoratore è un loro parente ed ha un particolare occhio di riguardo per il prezzo e per l’abbondanza dei cibi. Tutti sono ‘’sforbiti’’ e vi garantisco che osservare i contadini vestiti a festa è uno spettacolo bellissimo. Alcuni non si incontrano da molto tempo ed ognuno che arriva viene accolto dagli altri con una grande ‘’aududa’’ (festa). Si dividono in gruppi e gli argomenti per parlare non mancano: la salute, i raccolti, i pettegolezzi, i complimenti, i bambini. Si parla anche di politica perché quella grande famiglia è in parte comunista ed in parte democristiana. I toni sono comunque scherzosi. In un angolo la Pia che è una sorella da gli ultimi ragguagli al marito: ‘’ comportati bene, non fare il chiacchierone e non parlare di religione’’. Il brav’uomo è famoso perché dipende totalmente dalla moglie. In tarda età si è convertito alla religione degli Avventisti e per questo si è guadagnato il soprannome di ‘’paganel’’ (paganello che è il pesce che abbocca facilmente). Così ben addestrato si avvia in mezzo agli altri. Vedendolo così vestito bene e tinco gli urlano: ‘’set ingulè e zèss? ’’ (cosa hai ingoiato il gesso?). Era un’espressione che si diceva quando una persona stava impettita che sembrava avere ingoiato il gesso che come si sa solidifica facilmente ed irrigidisce il tubo digerente. In un altro angolo tiene banco ‘’Sandrin ad Bruson’’ (Alessandro della famiglia soprannominata Bruson che vuole dire grande fuoco perché una volta si incendiarono contemporaneamente tutti i pagliai). Parla ad alta voce e fa una specie di comizio, lui che è democristiano. Finalmente arriva una Fiat 600, è il fratello grande con la sorella suora. Suor Adele è una donnina piccola con il volto sempre sorridente e molto umile. E’ la sorella più grande e da piccola andò nel convento a Gambettola per imparare a ricamare. In famiglia c’era quindi una bocca in meno da sfamare ma diventò veramente suora. E’ in Africa dal dopoguerra ed insegna alle orfanelle a cucire e a lavorare a maglia. Scatta un grande applauso e tutti chiedono e vogliono sapere. Lei ama parlare ancora in dialetto e vuole ricordare i vecchi tempi. Si vede dai suoi occhi che è felice di fare la missionaria. E’ ora, tutti si dispongono attorno al lungo tavolo e le libagioni possono iniziare. E’ bene sapere che i contadini non andavano quasi mai al ristorante, i pranzi matrimoniali si facevano ancora nelle case. Inoltre l’antipasto era ancora un egregio sconosciuto. Ecco perché quel piattino che ognuno si trova davanti contenente due fette di salame, un carciofino sott’olio e tre olive in salamoia lascia perplessi molti. La suora è a capotavola e prima di iniziare invita tutti a frasi il segno della croce. I camerieri portano una piccola ciotola con alcuni ‘’passatelli’’. Si tratta del ‘’consommé’’ che ovviamente nessuno ha sentito mai nominare. Dice forte Sandrin: ‘’purta olta cla iè cota’’ (porta pure che sono cotti.). Scoppia l’applauso. Infatti sembrava un piccolo assaggio per capire se i passatelli erano cotti, invece erano tutti li. Per fortuna il resto non delude. Ravioli al ragù, cappelletti in brodo, coniglio arrotolato, grigliata di costolette e salsicce. C’è anche la frutta ma nessuno la mangia perché i contadini sono abituati a mangiarla mentre la raccolgono, mai a tavola. Il sangiovese scorre a fiumi. La suora guarda divertita anche perché ha assaggiato solo i passatelli e due cappelletti. Alcuni hanno mangiato troppo e quasi scoppiano. Le giacche sono sulle sedie, le camicie sbottonate, alcune pance prominenti sembrano uscite dalla camicia di forza. ‘’ Purtil for cu iè avnù mel’’ (portatelo fuori che gli è venuto male). In realtà è un cugino che è quasi ubriaco e quando gli succede inizia a lamentarsi come un bambino. Una volta fuori, risolve il problema la moglie versandogli una bottiglia d’acqua in testa.
Nota: mia mamma era una delle sorelle e la suora era mia zia. Io ero un bambino che ho i vaghi ricordi che vi ho descritti. Alcuni nomi sono di fantasia.
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