Il periodo fra giugno e luglio in campagna, oltre a significare sole ed estate che incalzavano, voleva dire lavori grossi e faticosi. Voleva dire fieno e soprattutto grano da sistemare che avrebbe determinato poi la qualità dell'annata.
Era il grano il lavoro più grosso e più gradito ai contadini, perchè avrebbe significato pane per tutti più era abbondante il raccolto, e la trebbiatura diventava una festa in tutte le aie dove avveniva.
La macchina che batte, un marchingegno infernale e mostruoso che ingoiava i mannini e li riduceva in chicchi, non si fermava mai e, almeno da noi, funzionava in continuazione e lavorava giorno e notte, insieme a orde di battitori che la seguivano per tutto il periodo.
Io adoravo quel momento quando toccava a noi.. gli accordi erano presi qualche giorno prima dal capo macchina che veniva a stabilire col contadino giorno e ora preciso di battitura, sicchè sapevi quando ti toccava e tutto era in trepidazione.
Avevo assistito alla battitura da quando ero piccola, e sempre mi aveva affascinato. Un trattore faceva andare un cinghione, che attaccato alla macchina piazzata, la faceva partire insieme ad un rumore assordante e incalzante. Io vedevo un mostro che ingoiava quei mannini di grano e li stritolava fra i denti ributtando lo scarto in un'altra macchina che con un enorme martello, martellava appunto in presse di paglia, che venivano fuori da dietro legate come salsicce da fili di ferro, e debitamente affettate e accatastate.
Fin da bambina quindi ero abituata a quel momento, all'affaccendarsi delle donne, all'arrivo di vicini che aiutavano, alle tavole imbandite fuori sotto la pergola, piene di ogni ben di Dio, alla frenesia che oltre alla fatica, si disegnava su ogni volto.
Quello che però mi mancava era la notte, non avevo mai assistito ad una battitura notturna. Forse perchè noi eravamo i primi di un casolare ci toccava sempre o prima, appunto , o dopo gli altri, sicchè ne avevo visto di battiture ad ogni ora, ma mai avevo vissuto quella sensazione ad ora tarda..
Avevo sentito in lontananza i rumori dell'avvenimento, si capiva dove succedeva dalle luci che squarciavano il cielo, e mi immaginavo un affaccendarsi che la notte col suo buiore accentuava in ombre furtive e lampade portate in mano per far luce dove non c'era... doveva essere bellissimo, per me doveva essere ancora più magico dello stesso momento vissuto di giorno.
Quando accadde, quando un anno ci toccò quell'esperienza, ero già grande.
Grande, sedici anni, ma tanto bastava perchè fossi diventata di moda... ero cresciuta dentro i vestiti senza accorgermi.. e mi ritrovavo a sfoderare gambe inopportune, che spuntavano da quello che erano diventate minigonne, davanti ai battitori, che allungavano il collo come tacchini quando mi vedevano girottolare per l'aia con l'aria ancora di una bambina.
Ero cambiata io, ma l'allegria che mi invadeva e la frenesia era quella antica di ogni volta, di ogni anno passato e finalmente poi avrei assistito a quell'esperienza di notte, perchè la macchina arrivò, quell'anno, tardissimo .. quindi non sera, ma proprio notte fonda..
Tutto era in fermento come al solito. Tutte le luci possibili erano accese... il trattore oltre al cinghione azionava anche un faro che puntato in alto faceva pensare addirittura alla guerra. Intorno alla macchina tutta, come su un albero di Natale lampade e lampade a gas attaccate ad ogni gancio possibile. E una luce più grossa alle bocchette dove usciva il grano. Gli uomini eran piazzati come di giorno. Gli usci delle case aperte. Le massaie andavano e venivano ritmate anche loro dal movimento della macchina stessa, che ti dava l'agire, a secondo di come andava e alla velocità che andava.
“ Chiedi se vogliono qualcosa - mi diceva nonna- dinni di venì dentro che è tutto qui..”
Mi rivolgevo ad uomini neri come carbone, stravolti dalla stanchezza, coi fazzoletti legati al collo..
“ No- signorina- mi rispondevano .. non se ne pole più di mangiare..magari un po' di caffè e latte..”
Ecco, mi pareva quella la differenza dalle volte antiche. Erano cambiati i tempi, persino i battitori non mangiavano più come prima, pensavo.
Nonna fece delle grandi macchinette di caffè e, di quella battitura, oltre alla magica atmosfera notturna, che ai miei occhi faceva apparire tutto ovattato e fuori tempo reale, ricordo quel profumo, quello del caffè e latte che i battitori bevevano seduti chi in casa, chi fuori buttati su cigli delle fosse, dove io glielo porgevo.. “ Grazie signorina.. lei gli è bella sa..!”
Più che della mia bellezza io ero consapevole della bellezza che mi circondava. Quello si mi pareva la vera bellezza. La notte vissuta come il giorno, in ogni sua sfumatura di cielo. Il silenzio squarciato dagli urli assordanti e dalle luci forti, che perdeva ogni sua voce interiore in una continuità di lavoro che affaticava e assonnava.
E infatti non tenevo più gli occhi aperti, quando improvvisamente tutto cessò. I battitori cominciarono ad andarsene portandosi dietro quel grosso marchingegno che quando finiva il suo momento di cigno, ed era trascinato via, sembrava un'anatra goffa e impacciata che se ne va cigolando.
Restava sull'aia un polverone, oltre i sacchi di grano in casa, e la stanchezza nelle ossa, anche a me che di molto non avevo fatto.. “ Vuoi un po' di latte anche te bimba..” - mi disse zio Checchere.
Nonna ad un certo punto si era arresa ed era andata a dormire, ma io no, io volevo restare fino all'ultimo lumicino e godermi ogni attimo fino in fondo, ed avevo aspettato con zio, nella casina in pietra, la fine di tutto... con la mia scodella di caffellatte fumante mi misi seduta sull'uscio e allora mi accorsi.. un'altro spettacolo si offriva ai miei occhi proprio davanti a me, il sole sorgeva in mezzo agli alberi davanti in fondo al rio.
C'era stato un momento di malinconia.
Quando la macchina se n'era andata, se n'era andata anche la notte. La luce prendeva il sopravvento. Le ombre, le magie, tornavano muri e alberi e fronde visibili abituali, e perdevano il fascino del mistero che avevano avuto, ma, appena vidi spuntare i primi raggi di sole capii che tutto torna, che tutto serve e forse che la notte funziona per meglio vedere la luce e viceversa.
Accucciata sul gradino, con la mia tazza in mano, mi persi in quell'emozione.
Un sole rosso come il fuoco venne su dalle fronde e una luce accecante spazzò via le malinconie e anche la stanchezza mi parve.. non volevo nemmeno dormire, volevo andare avanti e avanti e avanti, non mi volevo perdere niente di quel momento di vita.
Ne ho vissuta tanta di vita poi, e ho vissuto notti e giorni pieni e ricchi, malinconici e non, e tante volte ho aspettato la fine della notte, per ritrovare un' alba sempre sentita. Ho aspettato in riva al mare il sorgere del sole. O in città dopo nottate insonni, mi son goduta spettacoli di un levarsi di un sole cittadino che hanno un loro fascino particolare. Ho visto albeggiare cieli in giro per il mondo, in posti sconosciuti, affascinanti e diversissimi fra loro, ma mai, mai ho riprovato l'emozione di quel vecchio momento, se non quando son tornata qui, nella stessa casa che mi ha visto bambina, qui dove l'alba ce l'ho ogni giorno davanti l'uscio, e solo mi basta alzarmi presto per godermela, come se fosse per me sempre quella di allora.. la prima volta dell'alba.
Forse capisco ora anche il perchè di quel fascino, l'alba c'è sempre, e influisce sempre su di noi .. ma quello che negli anni ho visto è che inutile star lì apposta, per rincorrerla. Era quello che mi era piaciuto in realtà, che arrivò e mi sorprese. E mi sorprese non nel dolce far niente, ma dopo il lavoro, forse si è quello, dopo aver lavorato non c'è dono più immenso e più grande di un nuovo giorno che sorge.
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